Pochi giorni fa, in una masseria pugliese, si è svolta una cerimonia-evento. Lo stesso conduttore che venti anni prima aveva presentato il contratto con gli italiani col quale si era aperta la stagione berlusconiana, ha officiato il rito del passaggio del testimone con una intervista programmatica alla Presidente del Consiglio, investendola così della guida della nuova stagione politica.

Gli eventi sono precipitati oltre ogni previsione. Adesso, dopo i giorni sospesi di una tragedia umana e di emozioni forti e di massa, si impone il ritorno alla politica. Ci sarà forse qualche fibrillazione intorno ai resti del corpo elettorale di Forza Italia e qualche frizione ai confini tra Lega e FdI, ma si tratterà di cronaca.

Il centro destra riparte da una solidità conquistata. Si é ristrutturato, ha nuovi equilibri interni, una guida ambiziosa e forgiata nelle nuove tecniche di campagna elettorale permanente, che conta su solidi consiglieri del passato e che, sfruttando la posizione di governo, sta tessendo una tela di relazioni internazionali.

Quindi una destra con l’ambizione di un disegno strategico, l’ossessione tutta nostalgica di una egemonia culturale e che, pur di inserirsi nei processi di ridefinizione in corso in Europa, è disposta a svolgere tutte le parti in commedia.

Tra questo scenario e quanto appare sul fronte dell’opposizione progressista sembra esserci uno scarto enorme: un processo complesso e quasi compiuto da un lato, solo ”lavori in corso” dall’altro.

Ma è veramente così? E chi ha detto che processi di questa portata debbano procedere in parallelo e con le stesse modalità?

Pur orrendo un rischio notevole, azzardo una provocazione: non sarà che una ristrutturazione è in atto anche sul fronte progressista e che non la vediamo perché non corrisponde ai nostri sogni e alle nostre speranze?

Proviamo a farci una domanda: e se l’assetto attuale, con un Pd rinnovato nella leadership di Schlein, con il ritorno in famiglia di Bersani ed art.1, con un M5s che cerca di mettere nuove radici nei territori e di darsi una nuova identità postgrillina, e con, a sinistra, una alleanza Verdi- Sinistra Italiana piccola ma tenacemente resiliente, se questo insieme di componenti in cammino fosse l’impalcatura possibile del campo progressista oggi?

Ancor meglio. Se, invece di considerarci in competizione permanente, accettassimo l’idea che in questa fase storica è molto difficile che possa esserci una grande forza di sinistra, progressista e radicale, ambientalista e dei diritti ed accettassimo di con-vivere dentro un senso di appartenenza ad un campo progressista che voglia contrastare intanto il nuovo identitarismo del campo conservatore, assumere i temi del futuro della terra e del clima, della giustizia sociale e distributiva, della qualità della vita, dei futuro dei giovani e delle donne, della solidarietà, della pace tra i popoli e dell’accoglienza?

Insomma, ma siamo proprio sicuri che su questi grandi temi non ci sia nel nostro campo una visione più forte e più alta dello squallore della lotta permanente per contenderci i pochi spazi che ci sono rimasti ed i pochi consensi residui?

E, se così fosse, non potremmo pensare che già questo sarebbe tanto per affrontare a testa alta una destra che ha vinto su un piano quantitativo ridotto dall’astensione e della tattica elettorale, ma che al di la delle urla e delle capacità recitative parla di egemonia culturale, ma vive solo di violenza verbale e spartizioni di fette di potere?

In certi momenti vedendo partecipazioni di massa come al Pride, o donne come Anna Falcone, Elly Schlein, Elisabetta Piccolotti, Chiara Appendino, Donatella Di Cesare, Nadia Urbinati e giovani del sindacato e dei movimenti vien da pensare: ma siamo proprio messi così male? E se da domani tornassimo alla politica con la convinzione che una fase si è chiusa ed una nuova si può aprire?