Ragazzi spesso non ancora diciottenni, partiti volontari per affiancare le Brigate internazionali nella guerra di Spagna in difesa della Repubblica, li ritroviamo oggi quasi centenari alcuni con tutta la loro veemenza giovanile, altri con la difficoltà a parlare e ascoltare, nel documentario dalla straordinaria forza evocativa e di interesse storico «I primi saranno gli ultimi» di Pasquale D’Aiello realizzato con Mauro Manna, che sarà presentato il 10 maggio alla «Casa della memoria» di Roma.

Introduce una citazione da Iljia Ehrenburg: «Se per le persone della mia generazione le parole ’dignità umana’ hanno ancora un senso, dobbiamo ringraziare la Spagna. Essa diventò l’aria che respiriamo». Raccogliere i racconti di una generazione quasi scomparsa è stata una vera impresa per gli ideatori del progetto(finanziato con crowdfounding e coprodotto dall’Aamod) partiti alla ricerca dei pochi sopravvissuti in Europa e in America, un’esplorazione durata dal 2015 al 2018 e che ha permesso di incontrare un socialista italiano, un repubblicano francese, un comunista libertario canadese, un comunista spagnolo, tre comunisti francesi e un democratico britannico. Questi, Geoffrey Servante (XV Brigata internazionale Lincoln, Gran Bretagna), sembra quasi distaccarsi dal piglio militaresco degli altri: con humour britannico minimizza ogni episodio con il pretesto di essere partito volontario per una scommessa da cento sterline fatta in un pub, o con la scusa dell’alcool, della casualità, dell’ironia della sorte, un atteggiamento che lo accomuna anche ad altri di fronte agli episodi di guerra più cruenti (quando gli chiedono «perché non hai mai parlato della tua esperienza?» risponde: «non è stato oggetto di conversazione». Alla fine però si sa che ha votato per l’indipendenza della Catalogna, avendone il diritto come cittadino catalano onorario, ma solo perché ne ha scritto il Guardian che ha riportato alla luce la sua storia.

Migliaia di volontari spagnoli si schierarono, poi arrivarono da tutti i paesi del mondo, all’inizio in piccoli gruppi poi organizzati nelle Brigate internazionali, in più di 45 mila i volontari stranieri.
Nel film incontriamo alcuni di quei sedicenni, o appena diciottenni a cui inizialmente veniva fornito un fucile («il fucile che noi portiamo è la difesa di noi soldà»), ma non i proiettili. Si raccontano tutti gli eventi della guerra di Spagna dal 1936 al dopoguerra procedendo con i ricordi dei testimoni rimasti a raccontarlo, il supporto dei drammatici filmati d’epoca e tavole di animazione non invadenti che si fondono perfettamente con il racconto storico.

Dalle poltrone dei loro soggiorni, chi con voce sicura, chi in un soffio che riesce ad essere percepito e decodificato da protettivi figli o nipoti fanno emergere la storia come in diretta, come se ricordassero episodi del giorno prima. Come racconta Virgilio Fernandez del Real (XII Brigata internazionale Battaglione Dombrowski) con il suo basco arricchito dal simbolo della brigata Garibaldi: «Dopo pranzo a casa mi chiesero prendi il caffé? risposi: No grazie, il caffé rende nervosi. Perché sapevo che nel pomeriggio, senza dire niente a nessuno, sarei partito volontario al fronte. All’epoca aveva 16 anni, arruolato nel reparto sanitario, poi combattente a Guadalajara e all’Ebro. Della guerra ricorda soprattutto la sofferenza dei feriti.

Due fratelli centenari particolarmente lucidi e battaglieri si dimostrano Joseph (classe 1919) e Vincent Almudever (classe 1917). Il primo falsifica il documento d’identità per partire volontario, arruolato nella 129a Brigata internazionale, i suoi racconti ci riportano alla battaglia di Madrid, di Teruel, alle bravate consentite a un sedicenne senza paura, capace di affrontare non solo il nemico ma anche gli anarchici ostili e i comandanti. Si ritira infine in Francia non prima di aver gettato l’auto nel burrone piena di documentazione per non farla cadere nelle mani della gendarmerie francese.

Vincent appartenente alle Gioventù socialiste unificate, racconta le azioni come fosse ancora sul campo, ricorda ogni dettaglio, ogni episodio di coraggio. Dopo la ritirata esce nel ’42 dai campi di concentramento, si unisce alla guerriglia di cui ha avuto notizia, fanno saltare il ponte della ferrovia Valencia-Madrid e infine si ritira in Francia.

Incrocia il suo destino con la Brigata Garibaldi Antoine Piñol (classe 1915), francese nato in Spagna che si arruola in memoria del padre morto durante la guerra della Spagna contro il Marocco. Nel 36, quando vide che i fascisti avanzavano prese il treno e si arruolò volontario, arrivando in una caserma nei pressi di Madrid dove arrivavano anche gli italiani e si unì anche lui alla Brigata Garibaldi, dopo di che fu chiamato da tutti «Pignoli». «Certo che ero alla Jarawa, non mi sono perso molti combattimenti io. C’era una compagnia speciale, gli Arditi, io ero tra gli Arditi, comandavo la compagnia. Bisognava passare il ponte a gruppi di 10 o 12, gli altri erano dietro, noi non potevamo indietreggiare, aprivamo il fronte». Guarda i filmati d’epoca con partecipazione, riconosce Pacciardi tra le truppe(«l’ho visto sempre con quel cappello»).

Ricorda le grandi battaglie di Madrid (difesa fino alla fine) Henri Diaz de Toro che veniva anche lui dalla Francia(classe 1917, V Reggimento compagnia d’Acciaio) dalla inappuntabile compostezza e dalle vicende avventurose che neanche lui racconta davanti alla telecamera, mentre ricorda il compagno ucciso accanto a lui nella trincea: diventato poi comandante della Resistenza, imprigionato in campo di concentramento, fuggito sotto un treno dove resterà per tre giorni tornò ancora a combattere.

Aurelio Grossi di famiglia italiana, tornato dall’Argentina per sostenere la Repubblica, si arruola come radiotelegrafista, fonda con il fratello Renato «Radio Libertà» in funzione dal ’36 al ’37 finché gli stalinisti si impadronirono della radio come organo di propaganda.
Gli italiani in Spagna si trovavano su due fronti contrapposti e alla ricerca di Isino Marinelli della Brigata Garibaldi, gli autori rintracciano in un toccante incontro il cugino Diviso Marinelli che nel ’37 si arruola nell’esercito fascista: senza saperlo combattono uno contro l’altro, il cugino muore a Guadalajara e la famiglia riterrà Diviso responsabile della sua morte. Solo una lettera ritrovata dagli autori nell’archivio militare servirà a rendere meno doloroso il ricordo. Si aggiungono alle riprese d’archivio anche quelle inedite girate da Vittorio Galvani ufficiale del reggimento Camicie Nere dell’esercito fascista.

Sono evocati i personaggi celebri presenti nelle Brigate come George Orwell, «un buon compagno» come lo definisce William Krehm classe 1913, del Poum, il partito operaio di unificazione marxista leninista. «fondamentalmente un partito democratico socialista», lo definisce, «rimpiazzato poi da un partito non molto democratico». Emergono i conflitti interno al fronte antifascista: i trotzkisti del Poum e gli anarchici volevano la rivoluzione subito, i comunisti pensavano che la priorità fosse la lotta contro il fascismo.
E infine si rievoca la battaglia dell’Ebro che segnò la definitiva sconfitta, da un lato per ricordare alcune azioni spericolate, per mettere in evidenza imprese beffarde nei confronti dell’esercito franchista, dall’altra per definire i motivi della sconfitta: «se avessimo avuto più munizioni, più mezzi pesanti, la guerra sarebbe finita con la battaglia dell’Ebro».