Quattro fosse comuni a sud di Tripoli, Haftar principale sospetto
Libia Decine i cadaveri, ammanettati e con segni di tortura. Sarraj non sfigura: l'Onu lo accusa di saccheggi, arresti e uccisioni. Una nave della missione Ue Irini intercetta un cargo turco, ma non può perquisirlo
Libia Decine i cadaveri, ammanettati e con segni di tortura. Sarraj non sfigura: l'Onu lo accusa di saccheggi, arresti e uccisioni. Una nave della missione Ue Irini intercetta un cargo turco, ma non può perquisirlo
I dettagli sono ancora pochi, ma il quadro che emerge è chiarissimo: a Tarhuna (65 chilometri a sud di Tripoli) c’è stata una mattanza di civili. Ieri le forze alleate al Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli hanno scoperto almeno quattro fosse comuni in città. In una di queste, sarebbero stati recuperati finora più di 15 cadaveri (tra cui quello di una 12enne) ammanettati e con segni di tortura. I sospetti sono caduti inevitabilmente sull’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) del generale Haftar: erano i suoi uomini a controllare la zona prima di ritirarsi lo scorso 5 giugno.
Ma se l’Eln si è macchiato di crimini orribili in Libia (tra cui raid indiscriminati in zone residenziali), le milizie che sostengono il governo tripolino non sfigurano in quanto a barbarie: la missione Onu nel paese nordafricano (Unsmil) le ha accusate lunedì di uccisioni extragiudiziali, arresti di massa, saccheggi sia a Tarhouna che nella vicina Asabia.
Il massacro di civili a Tarhuna non terminerebbe però con la scoperta delle fosse comuni: la scorsa settimana l’Onu si è detta pronta a collaborare con il governo di Tripoli per investigare sui decessi di 106 persone scoperti in un ospedale cittadino.
Ma in Libia si uccide barbaramente anche da altre parti: ad Ain Zara e Wadi Rabea (sud di Tripoli), sette persone sono state uccise dall’esplosione di alcune mine forse piazzate dall’Enl prima di abbandonare le sue posizioni dalle aree meridionali della capitale. Le mine sono sempre più armi letali nel paese: secondo un rapporto del ministero della Giustizia del Gna, hanno finora causato 34 morti e 50 feriti.
E poi c’è la guerra che continua senza soluzione di continuità tra Tripoli e l’Enl. Da alcuni giorni il centro degli scontri è la città costiera di Sirte dove solo tra il 5 e l’8 giugno l’Usmil ha registrato l’uccisione di 19 civili (12 i feriti) a causa di attacchi aerei e missili Grad. Al momento la situazione è di stallo: dopo essere avanzate, le forze del governo di al-Sarraj sono state rallentate dalla controffensiva di Haftar.
In questo clima di conflitto permanente, lascia più di qualche perplessità l’annuncio ottimista di ieri dell’Unsmil secondo cui Tripoli e Tobruk «sono pienamente impegnate nella terza tornata di colloqui della Commissione militare congiunta formato 5+5 (formata da cinque funzionari militari di entrambe le parti in conflitto, ndr)».
L’Onu parla di «incontri produttivi»: parole che, di fronte allo sfacelo libico, sanno di scherno. Ai massacri scoperti e alla guerra, si aggiungono infatti le tensioni internazionali e interne. Ieri c’è stato il primo contatto ravvicinato tra una nave della missione europea Irini e quella cargo turca Cirkin, sospettata di trasportare armi al Gna e scortata fino a Misurata da tre fregate di Ankara. «Quando Irini ha voluto verificare il carico, in linea con le procedure abituali, la risposta è stata negativa», ha detto rassegnato il portavoce della Commissione europea Peter Stano.
La vicenda, conclusasi senza scontri, evidenzia però come sarà difficile e pericoloso imporre un embargo di armi in Libia come l’Europa promette di fare con Irini, mostrando allo stesso tempo come i turchi facciano già ciò che vogliono sull’altra sponda del Mediterraneo. Ieri almeno tre aerei cargo militari sono volati dalla Turchia in direzione di Misurata. Nuove armi per dare ulteriore sostegno all’alleato di Tripoli per la sua campagna di «liberazione» che, ufficialmente, dovrebbe terminare dopo aver ripreso Sirte e la base aerea di al-Jufra.
Dopo ore di tensione, è tornata ieri la normalità pure nel complesso gasifero di Mellitah: un gruppo armato di Zuara aveva minacciato di fermare l’esportazione di gas verso l’Italia chiedendo il pagamento degli stipendi e l’ottenimento di posti di lavoro presso l’impianto dove opera l’Eni. La protesta, rientrata dopo alcune rassicurazioni da parte di Tripoli, non è stata un caso isolato: da giorni in più parti della Libia si ripetono scene pressoché simili. Immagini emblematiche di uno Stato alla deriva dove a dettare legge sono vari gruppi armati e dove chi li dovrebbe fermare (Gna) conta poco a prescindere dai “suoi” successi militari.
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