Le città della Pianura Padana, al tempo dei cambiamenti climatici, stanno diventando uno spazio insalubre e poco appetibile in cui vivere. Gli eventi estremi sempre più frequenti, con l’aumento di intensità delle ondate di calore e la concentrazione delle precipitazioni che provocano frequenti alluvioni, possono rappresentare una spinta alle «migrazioni climatiche», anche nell’area padana: è questa l’ipotesi da cui è partito un lavoro di ricerca coordinato dall’Associazione italiana del Patto per il Clima e sostenuto da Fondazione Cariplo.

IL PROGETTO MICLIMI, un acronimo che per esteso significa «Migrazioni climatiche e mobilità interna nella metromontagna padana», è nato per approfondire un approccio che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni definisce come migration as adaptation, considerando la migrazione (definitiva, temporanea, circolare, ricorsiva che sia) degli esseri umani come una strategia di adattamento che si sviluppa non all’interno di un dato territorio bensì muovendosi tra i territori (spesso limitrofi), lasciandone alcuni per insediarsi in altri.

VENGONO QUINDI PRESI IN CONSIDERAZIONE fattori come il desiderio, l’opportunità o anche la necessità di lasciare un luogo quando le condizioni di vita in esso si fanno troppo difficili o addirittura impossibili. Sono nuove forme di migrazione e di mobilità residenziale che, almeno in Italia, interessano già territori colpiti da decenni di spopolamento e invecchiamento della popolazione residente rimasta, un fenomeno che ne ha indebolito drammaticamente la struttura socio-demografica, l’economia e la capacità di cura e manutenzione del paesaggio antropizzato, le aree interne alpine ed appenniniche.

L’INDICE DI PROPENSIONE alla migrazione climatica è l’elemento che il rapporto definisce, dopo aver analizzato le principali variabili climatiche in relazione in particolare alle Regioni Lombardia e Piemonte. L’indicatore è dato dalla somma dei valori degli indicatori compositi di cambiamento climatico, esposizione, vulnerabilità e resilienza. Essi sono correlati positivamente o negativamente alla propensione alla migrazione: «Maggiore sia la presenza di anomalie climatiche e di vulnerabilità socio-economica maggiore sia la propensione a migrare. Al contrario, maggiore è il «valore economico» e la resilienza socio- economica dei territori e minore sarà la propensione a migrare, «perché questi sono considerabili come fattori attrattivi rispetto alle scelte localizzative di individui e imprese».

NEL CONSIDERARE LA NUOVA ATTRATTIVITÀ della montagna italiana, spiega il rapporto, è però «fondamentale dunque riconoscere nel contempo che le montagne sono ecosistemi delicati dal punto di vista ambientale, particolarmente esposti agli impatti dei cambiamenti climatici». Anche per questo, probabilmente, le aree collinari sembrano essere quelle meno colpite dalla propensione a migrare e potenzialmente queste aree potrebbero diventare attrattori di popolazione.

MICLIMI ANALIZZA LE STATISTICHE demografiche di Milano e Torino: ogni anno, una percentuale compresa tra il 2% e il 3% dei residenti nei due comuni metropolitani decidono di spostare la loro residenza altrove, come evidenziano i dati dell’Istituto nazionale di statistica. La percentuale di individui che hanno cancellato la propria residenza dal comune di Milano e che hanno scelto di iscriversi presso un comune montano ammonta al 7%, dato che sale al 9% per chi lascia Torino. In termini assoluti sono poco meno di ventimila persone in cinque anni, quelli dal 2017 al 2021, numeri che identificano però una tendenza. La percentuale di chi sceglie come luogo di residenza un comune montano con una sede municipale ad almeno 700 metri di quota, cioè la vera montagna è l’1,5 % di chi si sposta da Milano, e il 2,2% di chi si sposta da Torino. I torinesi per lo più restano in Piemonte, mentre il flusso migratorio che fuoriesce dalla città Milano per dirigersi verso un comune montano sembra spaziare molto di più sul territorio italiano.

ACCANTO ALLE STATISTICHE, sono presentati dati relativi alla percezione del rischio climatico, frutto di un’indagine quantitativa condotta nel maggio del 2023 mediante interviste online all’interno di un campione di 2062 soggetti tra i 18 e i 70 anni d’età, residenti nei comuni non definiti montani, appartenenti alle aree metropolitane di Torino, Milano, PaTreVe (Padova, Treviso e Venezia) e Bologna. In media oltre il 62% dei soggetti si dichiarano molto o abbastanza preoccupati: le donne sono in media un po’ più preoccupate del cambiamento climatico nelle proprie città rispetto agli uomini (64,1% contro 60%).

LA PERCENTUALE PIÙ ALTA di preoccupazione si registra tra gli individui più giovani, in particolare nella fascia tra i 18 e i 34 anni, con il 68,4% dei cittadini metropolitani abbastanza o molto preoccupati per l’abitabilità quotidiana nei grandi agglomerati urbano-metropolitani di pianura, con problemi che vanno dalla mobilità, alla qualità ambientale, allo stress nei contesti lavorativi e domestici.

SOLO POCO PIU’ DI UN TERZO (35,6%) degli uomini, però, desidererebbe trasferirsi a vivere in montagna, e appena 1/4 delle donne. Quasi la metà (48,7%) delle donne, anzi, dichiarano di ritenere questa opzione poco o per nulla interessante. La maggiore propensione a trasferirsi nelle terre alte è espressa dalle fasce intermedie (35-44 e 45-54 anni). Ci pensa di più chi conosce e ha esperienza diretta della montagna.

TRA I MILANESI, INVECE, EMERGE tra i fattori di spinta l’idea di un «basso costo della vita», segno probabilmente di una visione idealistica. Anche perché se uno analizza i freni, evidenti a chiunque si occupi di aree interne, scopre che in montagna c’è la mancanza di servizi di base e ci sono difficoltà legate alla mobilità, oltre ai rischi di solitudine, legati alla vita in contesti montani che si immaginano evidentemente poco popolati.