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La pista ciclabile transfrontaliera: 425 km tra Italia e Austria

Mobilità alternativa La ciclovia Alpe Adria/Radweg parte da Salisburgo e arriva in Friuli Venezia Giulia, dove attraversa la foresta demaniale più grande d’Italia. Il progetto ha vinto due importanti premi

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 8 febbraio 2018

Le ruote scorrono veloci nel primo tratto della pista ciclabile. Immersi tra le Alpi Giulie, si viaggia lungo un suggestivo tracciato recuperato da una ex ferrovia. Boschi di abeti rossi e sinuosi fiumi smeraldini colorano il paesaggio nella zona di Tarvisio (Ud), dove si trova la foresta demaniale più grande d’Italia. Da qui, si scende verso la pianura attraverso gallerie ferroviarie illuminate, borghi medioevali, siti romani e città d’arte fino ad arrivare alla laguna, per poi affacciarsi sulle rive dell’Adriatico a Grado (Go). A tratti, dalla montagna al mare, il percorso diventa più impegnativo, ma nel complesso è accessibile al ciclista medio e corre perlopiù in sede propria.

Sono i 175 km della parte italiana della ciclovia italo-austriaca Alpe Adria/Radweg, l’ultimo segmento dell’itinerario di 425 km che nasce a Salisburgo (Austria). Un progetto di cooperazione transfrontaliera che ha vinto due premi, uno internazionale alla fiera olandese Fiets en Wandelbeurs e uno nazionale, l’Italian Green Road Award.

Con qualche anno di ritardo rispetto ai vicini austriaci, sloveni e veneti, anche in Friuli Venezia Giulia è in atto una rivoluzione verde nella mobilità sostenibile. Secondo i dati della Regione, a fine 2017 sono stati registrati più di 69.000 passaggi sulla Alpe Adria. Ma la rete del territorio si intreccia anche con altre ciclabili europee: la Euro Velo 8, che da Cadice in Spagna porta ad Atene in Grecia, e la Euro Velo 9, che da Danzica in Polonia raggiunge Pola in Croazia. E i servizi non mancano: dai trasporti pubblici (treni, bus e barche), all’accoglienza turistica, ai bike hotel.

A nord, al confine con l’Austria, Claudio Tognoni, direttore del Consorzio di Promozione Turistica del Tarvisiano, ha il polso della situazione. «Il cicloturismo è cambiato radicalmente – dice – c’è molta più attenzione da parte degli enti e questo lo rende il prodotto turistico più venduto e quello che ha avuto l’evoluzione più importante». Anche Federico Zadnich, coordinatore regionale e consigliere della sezione di Trieste di Fiab – Federazione Italiana Amici della Bicicletta Onlus, dipinge l’immagine della svolta. «Dopo il boom di 4 anni fa, in seguito alla sistemazione di alcuni tratti della pista, ogni anno c’è stata una crescita. I passaggi sono cresciuti del 17% rispetto al 2016 e del 46% rispetto al 2015. Pur essendo circondati da esempi importanti, per lungo tempo la nostra regione ha dormicchiato. Adesso è cambiata l’aria e c’è maggiore consapevolezza».

Fiab tiene i riflettori accesi anche su quanto accade a Trieste, dove l’attuale maggioranza ha fatto tremare in alcune occasioni gli amanti delle due ruote. Un anno fa, una bozza poi modificata del regolamento della polizia municipale vietava di «lasciare in sosta sulle aree di uso pubblico, tranne negli spazi predisposti, i velocipedi». Allora, in un comunicato stampa, Fiab aveva chiesto che le regole venissero riviste «usando buon senso e concretezza». In seguito, una mozione di un consigliere ha tentato di «vietare la circolazione delle bici nelle aree pedonali», ma anche questa vicenda ha avuto di recente un lieto fine. Scongiurato il pericolo, ora si attendono i nuovi sviluppi triestini e regionali, legati sia alla mobilità urbana che al cicloturismo. Il capoluogo giuliano, infatti, fa parte del progetto della ciclabile Aida (Alta Italia D’Attraversare), che unirà nel nord della penisola diversi siti dell’Unesco. L’inaugurazione del percorso è prevista per settembre 2018: due ciclostaffette partiranno dalle due estremità, dal Moncenisio e da Trieste, per incontrarsi a Verona.

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