Ad un mese dalla prima richiesta “pilota” validata dal giudice, sono diventati ben 43 i decreti ingiuntivi ricevuti dalla Qf di Francesco Borgomeo. Provvedimenti emessi da cinque diversi magistrati giudicanti, che impongono al proprietario della ex Gkn di pagare gli stipendi ai circa 300 operai che da quattro lunghi mesi non stanno ricevendo alcunché. Nel silenzio del governo, e in particolare del ministro Adolfo Urso che guida l’ex Mise oggi Mimit, sul tema della reindustrializzazione della grande fabbrica di Campi Bisenzio. E con lo stesso Borgomeo che, dopo l’ultima comunicazione ai dipendenti del 12 gennaio scorso, con la quale assicurava che l’azienda avrebbe risolto il problema “in tempi ristrettissimi”, non si è fatto più sentire né tantomeno vedere.
“Ad oggi mancano quattro mensilità – spiega la Rsu – comprendendo la tredicesima. Questo nonostante i decreti approvati, con altri in arrivo nei prossimi giorni. Alcuni provvedimenti del giudice sono esecutivi, e in assenza di pagamento diventeranno probabilmente pignoramenti. Perché, ad esempio, non solo ad oggi non è stato pagato nemmeno un euro di dicembre, ma nemmeno sono stati inviati i cedolini delle buste paga. Non solo i lavoratori non sono stati pagati, ma non si sa nemmeno cosa l’azienda ritiene di pagare loro”.
Una situazione che giorno dopo giorno diventa sempre più insostenibile, per operai che appena un anno e mezzo fa producevano semiassi richiesti dalle più note marche automobilistiche, Stellantis in testa. Con un valore aggiunto del 40/50% per ogni euro investito da Gkn-Melrose nel sito produttivo alle porte di Firenze. Una fabbrica all’avanguardia, chiusa a tradimento dalla sera alla mattina unicamente per motivi finanziari, leggi la richiesta degli azionisti di lucrare ulteriormente sui mercati azionari.
Un’azienda modello ceduta poi, per un euro, a un imprenditore ex advisor che in un anno non ha, metaforicamente, cavato un ragno dal buco. Capace solo di chiedere lo sgombero dei macchinari, mentre il suo annunciato piano industriale veniva bocciato dai dirigenti del ministero alle attività produttive, in quanto presentato solo in bozza e neanche minimamente credibile.
“Nelle richieste di decreti ingiuntivi – ha spiegato l’avvocato Danilo Conte a nome del pool legale che sostiene la Rsu Qf – abbiamo osservato che la fabbrica formalmente è in attività, dato che non è in corso alcuna procedura fallimentare, né ci sono altri motivi legali per cui può essere giustificato il comportamento dell’attuale proprietà. Dunque gli operai di Qf vanno considerati come dipendenti a tutti gli effetti. Ai quali, fin quando non sarà autorizzato un ammortizzatore sociale, va corrisposto il normale stipendio”.
La Rsu e il Collettivo di Fabbrica, da 18 mesi in assemblea permanente, insistono: “Qf paghi quanto dovuto, tratti una cassa integrazione collegata alla ricerca di nuovi investitori e si faccia da parte, mettendo a disposizione il sito produttivo alle forze, vive e competenti, che in questo anno e mezzo hanno saputo progettarne il futuro, per farlo realmente ripartire. Per questo daremo via ad altre due giornate campali in fabbrica, l’11 e 12 febbraio. Siamo senza stipendio, ma siamo ancora rabbia, orgoglio e dignità operaia”.
La messa a disposizione dello stabilimento per la reindustrializzazione – con la Regione Toscana che ha intanto avviato uno scouting pubblico su progetti di riconversione produttiva, legati alla mobilità sostenibile o in alternativa alle energie rinnovabili – agli occhi degli operai “fugherebbe il dubbio, legittimo, che l’attuale proprietà stia agendo come testa di legno della precedente proprietà”. A riprova, denunciano Rsu e Collettivo di Fabbrica, “nonostante sia stato fissato un calendario di incontri tecnici per arrivare ad un accordo, Qf non si è fatta vedere”.