Psoe-Podemos, l’accordo non sboccia. E Sánchez si arrende
Spagna Dopo giorni di frenetici negoziati resta la distanza sui ministeri. I viola alla fine si astengono per lasciare aperto l’ultimo spiraglio. ma il leader socialista ha già detto che il suo lavoro finisce qui. Per evitare il voto la strada è stretta
Spagna Dopo giorni di frenetici negoziati resta la distanza sui ministeri. I viola alla fine si astengono per lasciare aperto l’ultimo spiraglio. ma il leader socialista ha già detto che il suo lavoro finisce qui. Per evitare il voto la strada è stretta
Pedro Sánchez non ce l’ha fatta. Due giorni di frenetiche trattative non sono riusciti a compensare tre mesi di stallo, e forse hanno addirittura peggiorato i rapporti fra i due unici soci parlamentari possibili: il Psoe e Unidas Podemos.
Ieri mattina era già chiaro che erano saltati tutti i punti. L’ufficio della vicepresidenza del governo, a capo del quale c’è Carmen Calvo, la principale negoziatrice per il Psoe, aveva filtrato ai mezzi di comunicazione un documento intitolato dai socialisti «esigenze di Podemos» con le richieste iniziali dei viola.
IL NEGOZIATO ERA INIZIATO solo lo scorso fine settimana, subito dopo la gran rinuncia di Pablo Iglesias, su cui Sánchez aveva posto un veto: «L’unico scoglio all’accordo», aveva dichiarato solo giovedì il premier ad interim. Peccato che, come poco dopo ha dimostrato Maldita.es, una pagina che si dedica a smontare le affermazioni e i dati falsi, quel documento era stato modificato proprio dall’ufficio di vicepresidenza, e proprio poco prima che la stessa Calvo avesse giurato in diretta alla Cadena Ser di non aver filtrato nulla.
Obiettivo del filtro era dimostrare le spropositate richieste di Podemos secondo i socialisti: una vicepresidenza e 5 ministeri (oggi il governo ne ha 17 in tutto). Tutto sommato una richiesta ragionevole per un partito che ha la metà dei voti dei socialisti, soprattutto dopo che i viola avevano accettato di mettere da parte il proprio leader e di non richiedere nessuno dei ministeri tabù, ribattezzati dai socialisti «ministeri di stato»: interni, esteri, difesa, giustizia. Niente da fare: secondo Calvo, la richiesta di Podemos di avere competenze nell’ambito del lavoro, dei diritti sociali, della salute era «l’ambizione di avere tutto il governo», o di creare «un governo parallelo». Pablo Echenique, il numero 3 di Podemos che guidava la delegazione viola, spiegava in tv: «Non vogliamo stare al governo a tutti i costi. Vogliamo migliorare la vita degli spagnoli e per farlo dobbiamo avere competenze per alzare il salario minimo, migliorare la politica scientifica e quella universitaria, o le politiche di eguaglianza».
DAVANTI ALLE ENORMI PRESSIONI dei media aizzati dal filtro, ma anche di molti militanti e persino degli altri partiti come Esquerra Republicana e i nazionalisti baschi del Pnv, Podemos faceva arrivare direttamente a Sánchez l’ultima proposta poche ore prima della sessione: oltre alla vicepresidenza “sociale” ci vanno bene anche solo tre ministeri, sanità, lavoro e scienza & università. Ma anche questa proposta è stata respinta. I socialisti sostengono di aver proposto, oltre alla vicepresidenza per Irene Montero, numero 2 di Podemos, un ministero per la casa, quello della salute e quello per l’uguaglianza. Dettagli a parte, l’impressione è che, oltre all’abilità personale, e al tempo (si è iniziato davvero troppo tardi a negoziare), quella che è mancata, e soprattutto da parte dei socialisti, è stata la volontà e la fiducia reciproca.
Gli interventi in aula del Pnv e di Esquerra ieri sono stati eloquenti: il basco Aitor Estéban, forse il più democristiano dei politici spagnoli, ha strigliato equanimemente Sánchez e Iglesias dicendo: «Mi rifiuto di pensare che non si possa formare un governo prima di settembre» e annunciando una nuova astensione, ha ricordato a Sánchez che il loro Sì (6 voti) è pronto per essere quasi regalato.
IL PORTAVOCE DI ESQUERRA Gabriel Rufián, ieri è stato il più brillante e accorato, e ha detto che le sinistre, tutte e il suo partito per primo, «si pentiranno» per «mesi o anni» di questa investitura fallita. «Se noi, con il nostro leader in carcere, possiamo fare il gesto di generosità di astenerci, perché voi non potete fare altrettanto?». Ha ricordato che la destra applaude questa disfatta, e ha accusato Sánchez: mettere il veto a Iglesias ha solo ottenuto di alzare il prezzo, si pentirà di aver preferito l’astensione di Ciudadanos a Iglesias nel governo; e ha accusato Iglesias di essere intransigente: è un errore, ha detto, non accettare ministeri, quanti essi siano, e dimostrare di essere migliori. «Si pentirà di non aver approfittato di questa opportunità».
«Non c’è bisogno di essere Noam Chomsky» per capire che a settembre sarà tutto più complicato, con la sentenza del processo contro gli indipendentisti, ha detto, ammettendo che per Erc, con la probabile condanna del proprio leader, sarà molto più difficile astenersi.
ALLA FINE PODEMOS HA DECISO comunque di astenersi per lasciare un ultimo spiraglio: alle sue, si sono aggiunte le astensioni di tutti i partiti astenuti lunedì più Esquerra: 124 sì (gli stessi di lunedì), 155 no e 67 astenuti. Ora in teoria c’è tempo fino al 23 settembre per trovare una soluzione prima che scatti la ripetizione elettorale.
Ma Sánchez ha già detto che l’incarico conferitogli dal re finisce qui. Ora il capo dello stato dovrà riaprire un altro giro di consultazioni. Per evitare nuove elezioni ci sono solo due vie d’uscita: che riprendano i negoziati con i viola, oppure che Sánchez convinca la destra ad astenersi. Entrambi gli scenari a oggi sembrano impossibili.
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