Provenzano: «O svolta a sinistra o il Pd è finito»
Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd. Reato di rave, via libera ai medici no vax, rinvii sul caro bollette. Come valuta le prime mosse di Meloni?
Dal primo giorno vedo un solo pregio, quello della chiarezza. Non è centrodestra e non è nemmeno destra “sociale”. È una vecchia, vecchissima destra, che tiene insieme la stretta securitaria e il “me ne frego” sulle responsabilità sociali. Non solo non dà risposte sulle bollette, ma non si pone nemmeno le domande su come difendere salari e redditi dall’inflazione. Ad oggi, c’è solo un nuovo reato che si può applicare a qualsiasi manifestazione e si presta all’arbitrio dell’autorità pubblica, in palese violazione dell’articolo 17 della Costituzione. È allarmante e liberticida, si compie così il passaggio dallo «stato sociale» allo «stato penale».
Presentando la norma sul carcere ostativo, la premier ha ribadito pugno duro nella lotta alla mafia. Ha fiducia che sarà così?
Sull’ergastolo ostativo Meloni ha cambiato idea ma, con molta franchezza, non penso sia questo il terreno su cui rilanciare l’antimafia. C’è una domanda di mafia in interi comparti dell’economia e in pezzi della politica, come abbiamo visto alle elezioni amministrative in Sicilia. Non basta l’azione penale, per la lotta alla mafia oggi servono partiti sani e soprattutto un’economia giusta, regole sulla finanza, rispetto dei contratti, trasparenza su appalti e filiere. Il primo segnale del governo, alzare il tetto dei contanti, va nella direzione opposta. È un favore non solo agli evasori, ma al riciclaggio e alla corruzione, e dunque alle mafie.
Quale dovrebbe essere il vostro atteggiamento all’opposizione? Non rischiate di apparire un po’ fuori tono con gli stessi temi della campagna elettorale, vagamente demonizzanti?
Dovremmo smettere di dire che le parole di La Russa sul 25 aprile o le nomine di Durigon e di quel tizio che vestiva da nazista sono indegne di una Repubblica antifascista? Certo, non dobbiamo farci trascinare nella discussione sugli articoli determinativi ma portare avanti una nostra agenda sul terreno sociale, oggi il più esposto e scoperto. La priorità è alzare salari, con un fisco giusto, i contratti, il salario minimo e la lotta la precarietà. Sulla giustizia sociale e ambientale abbiamo un buon impianto di proposte, che supera errori e timidezze del passato. Ma tutto è stato percepito come “troppo poco e troppo tardi”. Ora dobbiamo dimostrare, anche dall’opposizione, di fare sul serio. Che c’è la destra e c’è la sinistra.
Il Pd si è infilato in un lungo e tortuoso percorso congressuale. Lei ha chiesto che sia una costituente vera, aperta ai non iscritti, vincolante sui contenuti. E ha ventilato l’ipotesi che alla fine convivano 3-4 partiti in uno. C’è il rischio che il Pd si sfarini da qui a marzo?
Ricordo che dalla sconfitta del 2018 all’elezione di Zingaretti passò un anno esatto, ma è ridicolo discutere di una settimana in più o in meno. Il rischio di immobilismo si supera partendo subito, non con il rodeo delle candidature, ma con una discussione vera, aperta, anche aspra, tra noi e col mondo progressista fuori di noi. Su alcuni punti fondamentali, dal lavoro all’autonomia differenziata, non ci possono essere due partiti in uno, perché così perdiamo credibilità tutti. Questi mesi saranno un’opportunità solo se ci crediamo davvero. E se saremo capaci di legare la nostra discussione al bisogno di alternativa a questa destra.
Ritiene che la spinta propulsiva di un progetto nato nel 2007, in piena euforia da globalizzazione e terza via, sia ancora attuale? O la sinistra dovrebbe risorgere in un nuovo contenitore?
Quell’impianto è superato dalla storia, da allora c’è stata una spirale di crisi epocali. Lo dico sempre che il Pd non è nato tardi, ma è nato vecchio, perché la lotta alle disuguaglianze e la battaglia per un nuovo modello di sviluppo sostenibile non erano nella sua carta d’identità. Malgrado alcuni sforzi e un programma che aveva messo a fuoco questi temi, l’accumulo delle contraddizioni maturate non solo a causa di Renzi, ma anche in troppi anni di “governo senza consenso”, hanno fatto perdere credibilità e appannato il profilo di sinistra. È qui, io credo, al di là degli errori e delle divisioni della campagna elettorale, la radice della nostra sconfitta. Ecco perché c’è bisogno di un nuovo Pd.
La sfida del M5S al Pd è molto forte: dalla guerra al reddito di cittadinanza Conte sta drenando altri voti. Qual è la risposta giusta? Crede sia ancora possibile una alleanza?
Premesso che io ho lavorato per l’alleanza fino all’ultimo, in Sicilia, anche dopo la rottura nazionale, e che proprio quella vicenda dimostra la volontà di Conte di andare da solo, penso che la risposta giusta sia nel fare la nostra parte fino in fondo. Ora c’è una competizione. E abbiamo il dovere di non regalare al M5S il patrimonio e l’ispirazione della sinistra italiana, che vive ancora, spesso fuori dai partiti. Ma in politica non ci sono vuoti. La sinistra rinasce nella questione sociale. Se lasciamo quello spazio senza un forte presidio, ad occuparlo saranno altri. E si torna sempre all’identità, tutto dipende da lì. Per me le alleanze vengono dopo.
Come dovrebbe essere il “nuovo Pd” per risultare attrattivo verso chi non ce la fa, chi si sente escluso? La vittoria di Lula cosa vi insegna?
Lula insegna soprattutto che in politica, come nella vita, è essenziale essere credibili. Lui somiglia alle cose che dice, vince anche per questo. Noi no, o comunque non abbastanza. Ci sono pezzi di gruppo dirigente che negli ultimi anni hanno sostenuto tutto e il contrario di tutto. Anche per questo perdiamo. Ma poi c’è un punto di fondo. Io penso che quell’identità vada ricercata proprio nel lavoro. Chi difende oggi il lavoro nel mondo che cambia? E chi lo promuove come strumento per migliorare il mondo? Io penso che dobbiamo diventare il Partito del lavoro, in tutte le sue forme, non solo quello dipendente. Il partito di chi vive o vuole vivere del proprio lavoro, con dignità.
Ad oggi manca un candidato o una candidata alla guida del Pd che rappresenti istanze di sinistra. Come lo spiega? Lei esclude di correre?
Le candidature si presenteranno a fine gennaio. Fin qui sono emersi molti nomi e poche idee. Le istanze di sinistra devono animare già la fase costituente. Perché se il nuovo Pd non sarà percepito come un grande partito della sinistra europea, progressista nei valori, riformista nei metodi e radicale nei contenuti, non avrà futuro.
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