Con Gianni Ferrara scompare uno dei protagonisti del rinnovamento in senso democratico della scienza giuridica italiana e, in particolare, delle discipline costituzionalistiche.

La vecchia cultura giuridica si caratterizzava per la fedeltà al cosiddetto metodo tecnico-giuridico, cioè alla concezione della scienza del diritto come descrizione avalutativa e neutrale delle norme esistenti, incompatibile con giudizi di valore, soprattutto se critici e politicamente orientati. Si trattava, in realtà – e si tratta tuttora, perché quell’atteggiamento è ancora dominante tra i giuristi – di un metodo che copriva, dietro lo schermo della scientificità, un ruolo di conservazione dell’esistente e un’opzione politica al servizio, comunque, del potere e dei suoi concreti e contingenti detentori.

Gianni Ferrara ha mostrato, con tutto il suo lavoro di giurista e di docente, che quel metodo è stato reso illegittimo dalla Costituzione repubblicana, i cui principi, se presi sul serio, devono orientare politicamente la critica del diritto esistente con essa in contrasto e la progettazione del diritto futuro da essa prescritto come sua attuazione. Non solo. Ha mostrato, con le sue battaglie contro i ripetuti tentativi di revisione subiti in questi ultimi trent’anni dalla nostra Costituzione, che il ruolo del giurista è inseparabile dall’impegno politico, essendo questo impegno imposto dai principi medesimi in essa stabiliti.

Di qui la sua difesa militante della democrazia parlamentare disegnata dalla nostra carta costituzionale, quale difesa della rappresentanza politica e del pluralismo, contro i suoi tanti stravolgimenti tentati e in parte praticati, tutti informati al progetto della massima governabilità della società da parte di una politica subalterna ai mercati.

Gianni, insieme alle molte generazioni di giuristi formatisi alla sua scuola, ha così contribuito alla rifondazione della scienza giuridica e del suo rapporto con la politica. Si è infatti prodotto un fenomeno, di solito trascurato, che in passato le persone della nostra generazione non avrebbero neppure lontanamente immaginato.

IN PASSATO ERA LA POLITICA il luogo del progresso e della trasformazione del diritto e delle istituzioni in senso democratico; laddove il diritto e la scienza giuridica erano i luoghi della conservazione o peggio della reazione. Grazie alla cultura giuridica costituzionalmente orientata, della quale Ferrara è stato tra i massimi esponenti, quel rapporto con la politica, in questi ultimi trent’anni, si è ribaltato.

La politica, a causa della sua crescente subalternità ai poteri economici e finanziari, si è mostrata sempre più impermeabile alle domande sociali di giustizia. Ha in questi anni ripetutamente aggredito lo stato sociale e i diritti dei lavoratori. È diventata sempre più autoreferenziale, ritenendo di dover rispondere assai più ai mercati che agli elettori. Al contrario, di fronte a questa regressione, il ruolo di una parte rilevante del mondo dei giuristi è diventato, se non altro per abito professionale, quello della difesa, al tempo stesso scientifica e civile, della legalità costituzionale, e perciò dei diritti fondamentali e degli altri principi di giustizia costituzionalmente stabiliti, contro le aggressioni dei governi e dei mercati.

Si è insomma verificata, tra scienza giuridica e politica, una singolare inversione dei ruoli, dovuta al fatto che i principi costituzionali difesi dalla prima sono sopra-ordinati alla seconda quali limiti e vincoli dal cui rispetto e dalla cui attuazione dipende la sua legittimità democratica.

È questa felice coincidenza tra rigore scientifico e impegno civile e politico che ha sempre caratterizzato, in maniera esemplare, il lavoro di Ferrara: nell’insegnamento, dove Gianni Ferrara è riuscito a conferire un senso e un fascino nuovi allo studio del diritto costituzionale; nel lavoro scientifico, animato costantemente dalla prospettiva della democrazia costituzionale quale costruzione giuridica, oltre che politica e sociale; nelle sue battaglie, sia di parlamentare che di cittadino, nelle quali quella medesima prospettiva, coniugandosi con la sua lettura marxista della società e delle lotte di classe, è sempre stata alla base della sua calda passione politica.