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Prospettiva Francoforte

Prospettiva FrancoforteMaria Lai, «Le profezie», 2008

Fiera del libro Ospite della Buchmesse, la nostra editoria esibisce una narrativa confusa, ibridata da temi sociologici, e nei casi migliori, votata alle «storie vere»: una fotografia dell’unico critico italiano invitato

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 13 ottobre 2024

È  talmente importante e prestigiosa la Buchmesse di Francoforte, dal secondo dopoguerra la Fiera del libro più determinante in Europa, da essere entrata a sua volta nella letteratura, per esempio nella poesia di Vittorio Sereni, e – recentemente – nei racconti di Antonio Franchini e Matteo Codignola. Il suo scopo principale non è far incontrare scrittori e lettori, ma rinnovare un appuntamento ‘business to business’, rivolto tradizionalmente agli scambi e agli affari di agenti e editori, distributori e traduttori. Ogni anno, la Fiera offre particolare visibilità e attenzione a un diverso paese, o a una letteratura nazionale, scelta come ospite d’onore: stavolta tocca all’Italia, che – nonostante statistiche poco lusinghiere sulla lettura – è pur sempre, per standing, tra le quattro maggiori editorie in Europa, satura di squilibri, e soggetta a fluttuazioni periodiche, ma che comunque fattura molto.

Dal punto di vista strettamente industriale, l’editoria italiana arriva a Francoforte in un momento interessante della sua storia, con dati che a volte contrastano, almeno apparentemente, vecchie idee ricevute. Si sa che il 2021 – anno dai consumi straordinari, un po’ dopati dalla postpandemia e dagli investimenti pubblici e privati – aveva segnato una crescita forte un po’ in tutti i settori, con un incisivo e ormai stabilizzato contributo dell’e-commerce. E si sa che ne era seguito un calo lento e progressivo, che continua anche nei primi mesi di quest’anno.

Eppure, abituati all’impressione del declino della saggistica di cultura, stupisce constatare che da noi invece è in crescita, anche grazie al contributo di quella nazionale. Né forse si sarebbe detto così bene della narrativa italiana, che sta sottraendo grandi quote di mercato a quella straniera tradotta. Ma è tutta l’autorialità italiana che quantitativamente cresce e esporta – perlopiù in Europa, e soprattutto in Spagna e in Francia – in particolare sul versante dei libri per bambini e ragazzi, della fiction e dei saggi.

I numeri naturalmente vanno analizzati, e oltre ai numeri va vista la sostanza. Il prezzo da pagare per la crescita industriale è stato, almeno in parte, la semplificazione di quanto materialmente si scrive (e si vende). Così come la saggistica che cresce maggiormente è quella più disposta al compromesso con la divulgazione e l’autobiografia, non di rado a cavallo di mode culturali fragili o effimere, così la scrittura italiana più venduta è quella che con la migliore tradizione letteraria intrattiene rapporti labili, se non inesistenti.

Nove dei dieci titoli più venduti in Italia, nei primi quattro mesi del 2024, sono scritti da autori italiani (l’unica eccezione è Joël Dicker); ma sono tutti romanzi di genere, o opere a vario titolo ‘accompagnate’ da un’autorialità multimediale, extraletteraria. Il decimo è Cuore nero, di Silvia Avallone.

Parliamo allora dei libri che chiamiamo, con aggettivazione eloquente, «letterari» (per distinguerli non solo dal calderone della varia, ma anche dalla molta narrativa che oggi si scrive senza nessuna vera ambizione stilistica, e perlopiù nell’attesa che diventi una fiction televisiva).

Le tendenze di fondo non sono difficili da identificare, sia sul piano delle scelte narrative sia su quello dei temi prevalenti. Mentre la fiction pura resta la prima opzione delle saghe narrative dichiaratamente di consumo, i narratori con ambizioni artistiche si rivolgono sempre più spesso alle storie vere, lasciandole quasi sempre raccontare da una prima persona partecipe, implicata: o perché testimone diretta dei fatti, o perché coinvolta a distanza di tempo e di spazio. Il piano delle storie vere sollecita il ricorso a fatti o situazioni di grande energia narrativa, se non direttamente epici (guerre, delinquenza, cronaca nera, vite di personaggi pubblici, traumi fisici e psicologici, malattie gravi, ecomostruosità…).

Quello della prima persona implica spesso il ricorso all’autobiografia, di un tipo però particolare, che definirei ‘rinforzata’: la situazione più tipica – messa a punto in Francia da Carrère e arrivata anche da noi con qualche ritardo – è quella di un Io che racconta se stesso, o una parte di sé, mentre racconta un Altro.

Un Altro a qualche titolo esemplare, interessante nel bene o nel male, sempre osservato con dovizia di documenti e aneddoti: come succede nel recente, notevole Incompletezza di Deborah Gambetta.

Sempre più spesso, in questi ultimi due anni, questo Altro è il genitore di un figlio che scrive. Di biografie romanzate di padri o madri si sono riempite le librerie italiane, come se due o tre generazioni di letterati italiani avessero deciso, tutti insieme, di verificare le proprie genealogie – quelle culturali, direi, non meno che le familiari. Sarebbe facile ironizzare su una moda così sfrontata, e su questa latente mancanza di autonomia del Sé, se non fosse che pescano in queste acque torbide anche alcune delle opere ibride più interessanti apparse negli ultimi mesi: Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini, Invernale di Dario Voltolini, La casa del mago di Emanuele Trevi. E se non fosse che in generale, tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, sono apparsi da noi molti libri tanto buoni quanto per certi versi inattesi. Penso, agli estremi opposti di quello che oggi intendiamo per poesia, a Paradiso, di Stefano Dal Bianco, e a , di Alessandro Broggi (oltre alla raccolta delle poesie di Antonella Anedda, e all’antologia di quelle di Patrizia Cavalli); penso a tanti nostri autori importanti che libro dopo libro continuano a svolgere i rispettivi progetti narrativi: rigorosi, riconoscibili, essenziali per capirci qualcosa dell’Italia di questi anni (Mari, Siti, Starnone, Corsalini, Piperno, Moresco). E penso a diversi promettenti esordi, di cui magari si sono accorti in pochi, perché – e questo è effettivamente un problema – quasi mai i libri più promossi, e meglio ‘comunicati’, sono effettivamente i più vivaci e stimolanti. Mentre per esempio lo sono (e cito alla rinfusa solo i pochi esordi che sono riuscito a intercettare in questi mesi) i romanzi di Claudia Lanteri e Pierpaolo Di Mino, o di Noemi De Lisi e Elvio Carrieri.

Il panorama, come si vede, è vivace, oltre che confuso. Così a Francoforte troveremo un po’ di tutto, come mostra un’occhiata al programma allestito dall’Associazione Italiana Editori (al paese ospite l’onere e il privilegio di organizzare il proprio padiglione, con tanto di scelta della delegazione da inviare in Germania). C’è spazio per l’editoria grande piccola e media, per la traduzione e le coedizioni, per i librai e per gli operatori di festival e happening. E c’è naturalmente spazio per tutti i ‘segmenti’ del nostro mercato librario, da quelli più di nicchia, e tradizionali (per esempio i volumi d’arte o design) a quelli più nuovi e più in crescita: dai romanzi di genere – specie rosa, comedy e noir – ai libri per bambini e ragazzi, ai fumetti – un mercato triplicato negli ultimi quattro anni – fino a un pezzo di quell’universo in continua espansione che sono le cosiddette «scritture di categoria», incentrate su personaggi famosi dello sport, del costume, dei media.

Anche sul piano dei nomi, inevitabilmente, c’è la stessa varietà, o se si vuole la stessa confusione: ospiti che vengono dalle forme tipiche del tardo Novecento (Claudio Magris, Dacia Maraini, Susanna Tamaro) si mescolano a presenze che sono invece tipicamente contemporanee: provenienti dalla nuova divulgazione, colta o popolare (Carlo Rovelli, Alessandro Barbero, Aldo Cazzullo), oppure dai laboratori dell’ultima narrativa di consumo, sempre meno importata e sempre più ‘fatta in casa’ (Stefania Auci, Felicia Kingsley, Maurizio De Giovanni, Antonio Manzini). E talvolta gli uni e gli altri si ritrovano insieme: come Erri De Luca e Erin Doom, ospiti dello stesso Reading al buio. Coppia strana quanto l’editoria che stiamo attraversando: con un piede in un passato che non passa, e un altro in un futuro sotto falso nome.

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