Massimo 18 alunni per classe; tempo pieno e tempo prolungato in ogni scuola del Paese; “Zone di educazione prioritaria e solidale” nelle aree socialmente e geograficamente più svantaggiate; asili nido e scuola per l’infanzia in tutto il territorio nazionale (non più come «servizio a domanda individuale», ma diritto da garantire); innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni; gratuità completa della formazione.

Sono questi i punti salienti della proposta di legge che – con i gruppi parlamentari di “Alleanza Verdi-Sinistra” – abbiamo presentato il 25 gennaio a Montecitorio.

Un disegno di legge non estemporaneo (anche perché la scuola italiana è giustamente insofferente verso provvedimenti propagandistici, calati dall’alto), ma costruito in mesi di tavoli di lavoro, con le organizzazioni sindacali e professionali, degli insegnanti, degli studenti, dei genitori; il primo di una serie, per impostare una controffensiva politica e culturale nei confronti di un’ideologia selettiva, quantitativa e classista dell’istruzione, che ha radici in un trentennio di tagli e di crescente subalternità al mercato; e che vede, oggi, nelle parole e negli atti del Ministro Valditara, un ulteriore salto, fino a pensare – come nella letterina di Natale alle famiglie – la scuola come una sorta di società interinale.

Pensiamo ad un insieme di leggi che – attraverso la discussione parlamentare e nel Paese – consolidi un tessuto comune di lotte e di  ribaltamento culturale; perché la scuola non è una selezione di bisognosi e di meritevoli, ma il principale  strumento attraverso cui la Repubblica rimuove gli ostacoli alla crescita umana e civile, alla realizzazione di sé e di tutti e tutte; forma persone e cittadinanza attiva e consapevole, non «pezzi di ricambio» per la produzione e per lavori precari e sfruttati.

Può sembrare una banalità, ma non lo è: «Massimo 18 alunni per classe» (quindici nelle zone di educazione prioritaria), significa, non solo molti più docenti e più spazi, ma soprattutto mettere in condizione gli insegnanti di stare più vicini a generazioni sempre più in difficoltà; per la pandemia, certo, ma in particolare perché travolti da una tempesta digitale, che atomizza le relazioni e sposta in superficie i processi di conoscenza e di elaborazione.

Più tempo scuola, vuol dire, per esempio, lasciare meno sole le nuove generazioni, con le proprie difficoltà e fragilità; prendersene carico realmente e respingere la sottocultura della sorveglianza e della punizione (o, come dice il ministro, dell’umiliazione); zone prioritarie vuol dire invertire la tendenza a premiare aree più forti e aumentare, così, le diseguaglianze sociali e territoriali.

È un disegno di legge che, consapevolmente, costa; perché le trasformazioni serie e concrete costano e perché per l’istruzione, in Italia, non si spende troppo, ma troppo poco; stiamo parlando di oltre tre miliardi l’anno in più, necessari per il futuro libero e dignitoso di intere generazioni, in un Paese che ha – ogni anno – circa 100 miliardi di evasione fiscale; in cui sono state aumentate le spese militari per circa 120 milioni al giorno.

Il sistema dell’istruzione non è un problema degli “addetti ai lavori”; è una pietra angolare del modello di società e di umanità, un nodo delle democrazie, fin dalla loro nascita e ancor più nel vortice della loro crisi.

L’augurio è che su questa legge – e sulle altre cui lavoreremo, a partire dal superamento di questa pessima «alternanza scuola-lavoro» – maturi, anche nelle forze del centro sinistra, un disegno di cambiamento che non faccia i conti solo con le precipitazioni della destra, ma anche con gli errori e i cedimenti culturali che le hanno rese possibili.
* Responsabile Scuola e Università, nella Segreteria nazionale di Sinistra Italiana