«Processo di Roma», critiche a Meloni dall’Institute for Security Studies del Sud Africa
«Sfruttare i finanziamenti allo sviluppo in cambio della cooperazione in materia di migrazione ha avuto per l’Africa esiti disastrosi. Tra questi il sostegno alle milizie libiche e la cancellazione delle […]
«Sfruttare i finanziamenti allo sviluppo in cambio della cooperazione in materia di migrazione ha avuto per l’Africa esiti disastrosi. Tra questi il sostegno alle milizie libiche e la cancellazione delle […]
«Sfruttare i finanziamenti allo sviluppo in cambio della cooperazione in materia di migrazione ha avuto per l’Africa esiti disastrosi. Tra questi il sostegno alle milizie libiche e la cancellazione delle economie locali in Niger senza fornire alternative». Sono critiche circostanziate e molto dure quelle mosse dall’Institute for Security Studies, che ha sede in Sud Africa ed è tra i principali centri studi indipendenti del continente, alla recente conferenza internazionale presso la Farnesina che ha aperto il «processo di Roma».
L’incontro si è svolto il 23 luglio scorso alla Farnesina e ha visto la partecipazione dei rappresentanti di oltre 20 paesi del “Mediterraneo allargato”. Secondo Giorgia Meloni, che pochi giorni dopo ha ricevuto la benedizione di Washington, si è trattato di un evento strategico per aumentare il protagonismo italiano al di là del mare. Sulle questioni migratorie ma non solo.
L’analisi critica che viene dal Sud Africa è firmata dalle ricercatrici Aimée-Noël Mbiyozo e Ottilia Anna Maunganidze. Le studiose sostengono che l’approccio alle migrazioni internazionali incentrato sulla sicurezza sia una minaccia ai diritti fondamentali delle persone in movimento, agli assetti democratici dei paesi attraversati dai flussi, ma anche agli stessi stati di destinazione dove è ormai acclarata la mancanza di forza lavoro in diversi settori. Come in Italia, dove nell’ultimo anno scarseggiano lavoratori in agricoltura, turismo, manifattura ed edilizia (senza che il sistema di ingressi per quote sia riuscito a rimediare).
Mbiyozo e Maunganidze mettono a confronto la propaganda elettorale della premier italiana, che denunciava «l’islamizzazione dell’Europa», con i numeri degli arrivi via mare, più che raddoppiati durante il suo governo. Nonostante questo «abbia imposto limitazioni amministrative alle navi umanitarie e aumentato le pene per i trafficanti». Ricordano inoltre che la maggior parte dei migranti in Europa sono cittadini di paesi membri o asiatici, non africani. Questi, del resto, quando sono costretti a migrare tendono a trovare rifugio nei paesi confinanti o comunque interni al continente.
E su questo fenomeno le due ricercatrici dell’Iss lanciano una sfida ai governi africani, per uscire dalla subalternità con cui gestiscono le migrazioni: «Bilanciare le richieste di ospitare grandi afflussi di persone costrette a sfollare, sfruttando al contempo i vantaggi del lavoro migrante e della libera circolazione è una priorità dell’agenda dell’Africa. I passi verso la libera circolazione e il commercio a livello regionale e continentale rientrano in questo programma più ampio. Nonostante il fascino degli “investimenti” condizionali, i leader africani devono continuare su questa strada».
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