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Processo di Madrid, in Catalogna è sciopero

Processo di Madrid, in Catalogna è scioperoManifestazione in Catalogna

Spagna I sindacati indipendentisti organizzano la protesta per il lavoro, ma la mobilitazione è chiaramente diretta al procedimento sempre più politico in corso nella capitale. Partecipazione inferiore alle aspettative

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 22 febbraio 2019

Sciopero generale ieri in Catalogna convocato dal sindacato indipendentista Intersindacal Csc. Un sindacato minoritario, appoggiato dalle associazioni indipendentiste Òmnium cultural e Anc, i cui ex leader sono in carcere. La protesta formalmente era «per il lavoro», ma in realtà è stata convocata proprio contro il processo in corso a Madrid contro i politici indipendentisti. Nessun altro sindacato ha appoggiato lo sciopero.

La massima partecipazione si è registrata nel comparto dell’insegnamento, dell’università e del piccolo commercio, ma non ha paralizzato l’attività economica (come invece in analoghe circostanze in passato), con percentuali di adesione inferiori al 30%. Solo nel comparto universitario si è arrivati al 67%.

Poco colpiti i trasporti pubblici: i principali incidenti si sono verificati su strade urbane, autostrade e ferrovie per i numerosi blocchi che durante la giornata di ieri sono stati portati a termine da gruppi dei Cdr («Comitati di difesa della repubblica»), vicini alla Cup, alcune volte bruciando pneumatici. Isolati incidenti durante i tentativi di blocco stradale: tre detenuti e 37 feriti (di cui 7 mossos). Ieri sera, alcune decine di migliaia di persone hanno partecipato a manifestazioni a Barcellona e in altre località catalane.

Una protesta sentita ma nel complesso di dimensioni molto più modeste di quelle a cui l’indipendentismo ha abituato negli ultimi anni.

Certo è che, nel frattempo, a Madrid continua il processo definito «del secolo». E ogni giorno che passa dà nuove ragioni a chi lo considera un processo «politico» con accuse sproporzionate. Il ritmo degli interrogatori è inusualmente serrato. I giudici vogliono dare meno argomenti possibili al prevedibile ricorso dopo la sentenza al tribunale europeo dei diritti umani, visto che i tempi eccessivi dei processi (alcuni dei dodici imputati sono in carcere preventivo da più di un anno) sono spesso una delle principali critiche. Nei giorni scorsi, sono stati ascoltati quasi tutti gli imputati.

Chi ha seguito da vicino le vicende giudiziarie in questi giorni ha segnalato la superficialità delle accuse: sembra che non si stiano facendo grandi sforzi per dimostrare che gli atti commessi dagli imputati costituivano evidenza di «ribellione», come vorrebbero le accuse. Al più, e per stessa ammissione degli accusati, si tratta di «disobbedienza» (cioè abuso d’ufficio) per non aver rispettato atti emessi dal Tribunale costituzionale, ma nulla che giustifichi le richieste di condanne abnormi. Alle domande dell’accusa popolare portata avanti dal partito di estrema destra Vox non ha voluto rispondere nessuno.

Quanto al peculato, negato dagli imputati, non è ancora stata fornita nessuna prova: le urne e le schede, apparse come per miracolo il giorno del voto, non sembrano essere state pagate da nessun ente pubblico. Linee di difesa diversa, ma nel complesso difendendo il voto nel referendum, seppur minimizzando la portata della dichiarazione di indipendenza «simbolica» (a cui al tempo invece venne data centralità politica).

La settimana prossima sfileranno come testimoni i big della politica: tra gli altri, l’ex presidente Rajoy, la sua vice Saéz de Santamaria, la sindaca Colau, il presidente del Parlament catalano Torrent e il capo del governo basco Urkullu, che fece da mediatore in cui giorni convulsi.

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