All’Aja si celebrano i primi venti anni della Corte penale internazionale (Cpi) mentre in Ucraina si continuano a commettere crimini di guerra. La documentazione delle atrocità non è mai stata così tempestiva e documentata, eppure i Paesi che hanno promosso il progetto della responsabilità penale individuale sono ben lungi dall’aver fornito un modello accettabile per tutto il mondo.

Un soldatino russo di 21 anni, Vadim Shysimarin, è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale di Kiev. Per aver ucciso un pensionato ucraino disarmato. Altri due soldati russi hanno subito analoghe condanne e altre ne seguiranno. Sull’altro fronte, due cittadini inglesi, Aiden Aslin e Shaun Pinner, di 28 e 48 anni, volontari nella difesa di Mariupol, sono sotto processo per terrorismo nell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donesck.

GLI STATI UNITI, CHE non hanno mai aderito alla Corte penale internazionale, intendono promuovere un Tribunale speciale per i crimini di guerra commessi, forse sul modello dei Tribunali ad hoc istituiti per l’ex-Jugoslavia e il Ruanda. Lo stato invasore, con una faccia tosta incredibile, intende addirittura promuovere una «Norimberga 2.0» per processare i militari nazisti del Battaglione Azov – che invece Amnesty International chiede che vengano processati, per crimini commessi nel 2014 proprio all’Aja -, ma come momento simbolico di propaganda del suo programma di «denazificazione» dell’intera Ucraina. Ma il «denazificatore» Putin è lo stesso che ha elogiato la 64° Brigata motorizzata, dopo che questa aveva commesso i massacri di civili a Bucha, per «eroismo di massa e coraggio, fermezza e forza d’animo».

È QUESTO IL CLIMA in cui si celebrano i primi 20 anni della Corte penale internazionale (Cpi): da una parte, c’è una rinnovata alacrità nel perseguire nei tribunali i nemici e nell’assolvere i propri soldati. Dall’altra, si è diffuso un radicato un consenso sul fatto che nessun crimine di guerra debba restare impunito.

La Cpi ha risposto tempestivamente alla crisi ucraina aprendo indagini appena le truppe russe hanno varcato il confine e ha addirittura inviato, in collaborazione con Gran Bretagna, Francia e altri Paesi, esperti forensi per raccogliere prove. Una tempestività che purtroppo non ha avuto in passato ma potrebbe essere di buon auspicio per il futuro.

La raccolta delle prove è oggi facilitata dalle nuove tecnologie dell’informazione, che consentono di raccogliere immagini, testi e altri documenti, associandoli ai responsabili con molta maggiore facilità di quanto sia mai accaduto in passato. Intelligenza Artificiale, immagini satellitari, registrazioni di droni consentono ora di raccogliere e di analizzare una mole impressionante di dati. Ma soprattutto, ogni individuo, ogni vittima, ha in mano un cellulare che può utilizzare per diventare un investigatore.

LA GUERRA IN UCRAINA PONE la Cpi ad un bivio. Nata grazie all’impulso dei Paesi europei e di altre nazioni occidentali quali il Canada – mai sarà abbastanza lodato l’impegno bipartisan dei governi italiani che ha consentito di firmare proprio a Roma il Trattato istitutivo nel luglio 1992 – la Corte è sopravvissuta nonostante ben tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Stati uniti, Russia e Cina, si siano ostinatamente rifiutati di aderirvi. Gli Stati uniti di Bush e di Trump hanno fatto di tutto per farla fallire, eppure la coalizione di nazioni che l’ha istituita è riuscita a far progressivamente aumentare il numero dei membri. Ma il sistematico sabotaggio operato ha avuto i suoi effetti, e la Corte, pur di sopravvivere, è stata molto cauta nel decidere dove indagare.

Se il desiderio di una giustizia globale deve continuare, l’Occidente non può continuare ad applicare lo standard dei due pesi e due misure, usando strumentalmente le indagini per colpire i nemici e coprendosi gli occhi nei casi in cui è l’Occidente stesso a commettere crimini.

La crisi ucraina mostra che la logica giuridica è autorevole solo se è in grado di riaffermare la propria imparzialità, altrimenti ogni parte in causa può usarla come mero strumento di propaganda. Poiché la Cpi è stata il frutto di una inedita coalizione tra associazioni della società civile e governi ben intenzionati, è quanto mai necessario che essa riprenda il suo cammino con equilibrio e obiettività.

DI FRONTE ALL’OPINIONE pubblica mondiale il discorso sulla responsabilità penale indipendente è stato screditato da atti inconsulti. Come si può prendere sul serio l’impegno degli Stati uniti a favore di indagini nei confronti dei crimini di guerra se la base di Guantanamo, nonostante le promesse dell’amministrazione Obama, continua ancora detenere 39 prigionieri senza che, dopo vent’anni, siano stati aperti giusti processi? E come può essere preso sul serio l’impegno della Gran Bretagna all’interno della Cpi se ancora oggi incarcera Julian Assange senza alcuna formulazione delle accuse?

NON SI SERVE TUTTAVIA la causa della giustizia sentenziando che sono tutti colpevoli, quindi tutti innocenti. Occorre al contrario avviare le indagini, e viste le cautela e la lentezza con cui agisce la Cpi, dovrebbe essere la società civile ad intentare i primi processi. Durante la guerra del Vietnam, Bertrand Russell, Jean-Paul Sartre e Lelio Basso avviarono un clamoroso Tribunale d’opinione sui crimini di guerra lì compiuti. Altri tribunali sono stati istituiti, molti presso la Fondazione Basso. Mai come oggi si avverte la necessità di un Tribunale dedicato all’Ucraina, dove il primo imputato non sia qualche ragazzino impaurito che si trasforma in assassino, ma chi, come Putin, l’ha mandato al fronte. Perché non c’è guerra senza crimini. E il crimine della guerra è assai più violento di qualsiasi crimine di guerra.

 

* Sintesi dell’intervento alla Tavola Rotonda dell’Aja: «La Corte penale internazionale dopo 20 anni», Global Transformations and Governance Challenge Programme. (L’autore ha da poco pubblicato “Delitto e castigo nella società globale. Crimini e processi internazionali” ed. Castelvecchi)