D’ora in poi, la Chiesa Cattolica spagnola dovrà pagare due imposte locali dalle quali finora era esentata. Grazie ad un accordo raggiunto tra l’esecutivo e la Conferenza Episcopale di Madrid, quest’ultima ha rinunciato all’esenzione dal pagamento dei Contributi Speciali e dell’Imposta sulle Costruzioni, le Installazioni e le Opere (Icio), di cui beneficiava sulla base di una deroga concessa nel giugno 2001 dal governo di destra di José María Aznar (Partito Popolare).

L’accordo, spiega un comunicato congiunto, «manifesta la volontà condivisa di equiparare il regime fiscale della Chiesa cattolica a quello degli enti senza scopo di lucro». A versare i contributi saranno le 70 diocesi, una parte delle quasi 23mila parrocchie sparse nella penisola, gli ordini e le congregazioni religiose.

Secondo le stime diffuse dal ministro della Presidenza Félix Bolaños, il pagamento delle due imposte da parte della Conferenza Episcopale porterà nelle casse dei comuni poco più di 16 milioni di euro ogni anno, non proprio una grande somma. La differenza, infatti, la farebbe il pagamento dell’Imposta sui Beni Immobili (Ibi) – il corrispettivo locale dell’Imu – dal quale però la Chiesa spagnola continuerà ad essere esentata, così come avviene per la tassa sulle Successioni, le Donazioni e le Trasmissioni Patrimoniali e per quella sulle Società. I redditi degli ecclesiastici, inoltre, sono esenti anche dal pagamento dell’Irpf, anche se proprio da questa imposta – tramite la scelta, in sede di dichiarazioni dei redditi, di un terzo circa dei contribuenti del paese – arriva quasi il 25% del miliardo di euro che ogni anno entra nelle casse della Chiesa spagnola tra donazioni dirette e indirette e attività economiche varie.

Alla fine del 2018 il primo governo Sánchez aveva annunciato l’intenzione di modificare gli accordi economici firmati con la Santa Sede nel 1979, per introdurre il pagamento dell’imposta sugli immobili di proprietà della Chiesa non destinati al culto. La misura, alla fine, non è stata però adottata neanche questa volta, suscitando una certa delusione negli ambienti laici e di sinistra, da

Izquierda Unida a Podemos alle sinistre indipendentiste basche, catalane e galiziane. Il privilegio, d’altronde, viene difeso con forza dalla Conferenza Episcopale di Madrid, sostenuta non solo dalle destre ma anche da influenti settori dello stesso Partito Socialista.

Le misure annunciate ieri dal governo spagnolo, quindi, non segnano la fine dei contestati privilegi fiscali della Chiesa. Quello di ieri è, però, il secondo accordo raggiunto dal governo Sánchez con la Chiesa spagnola. Quello precedente, sottoscritto nel gennaio del 2022, aveva convinto la Conferenza Episcopale ad ammettere che non erano di sua proprietà almeno un migliaio dei circa 35mila beni registrati a suo nome a partire dal 1998 approfittando di una norma ad hoc varata da Aznar. Sulla base dell’accordo, la Chiesa di Madrid si è quindi impegnata a restituire case, scuole e terreni che le erano stati indebitamente attribuiti, per lo più concentrati nella regione centro-settentrionale della Castilla y León.