Visioni

«Princess», vivere ai margini nella pineta che imprigiona

«Princess», vivere ai margini nella pineta che imprigionaGlory Kevin e Lino Musella in «Princess»

Venezia 79 Roberto De Paolis apre la sezione Orizzonti con un film sulle vittime della tratta, con sguardo quasi documentario racconta la loro lotta per la sopravvivenza

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 1 settembre 2022

Princess indossa una parrucca rosa fucsia, intercetta persone di ogni tipo sperando di guadagnare quanti più soldi possibile. È ai margini di una città e di un mondo, eppure da quella città e da quel mondo arrivano in molti per cercarla, per starci insieme il tempo necessario e, alla fine, per lasciarla dove l’hanno incontrata, in una pineta. Poi chissà, forse accadrà di nuovo di ritrovarsi. Della sua esistenza precedente, in Nigeria, niente sanno i suoi clienti. Ogni tanto è lei, con le sue reminiscenze, le cerimonie religiose, una pietanza, una semplice e ingenua superstizione, a far riemergere il vissuto di un tempo che pare perduto. Lei che per pagare la sua protettrice ha dovuto tagliare ogni legame con la sua famiglia.

DOPO Cuori puri, con Princess Roberto De Paolis firma il suo secondo lungometraggio, film d’apertura in concorso alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti. Il primo dei numerosi titoli italiani alla Mostra, è una fiaba nera come tutte quelle che raccontano di incantesimi e di prigioni dalle quali pare impossibile evadere. Princess nel suo bosco accoglie o respinge uomini malvagi e ingenui, giovani e anziani, poveri e ricchi, operai e aristocratici, consapevoli e spaesati. Quelli che sperano in qualche minuto di divertimento e quelli che pensano che solo nel bosco troveranno qualcosa che nel mondo parallelo non si ottiene mai. E poi, ancora, quelli che approfittano della situazione per sfogare le frustrazioni e la voglia di prevaricare il prossimo senza rischiare di essere sopraffatti. Accade anche che nel bosco possa irrompere il principe. E che quel principe possa avere le chiavi per far uscire la fata dal suo regno, che è anche il carcere dove è reclusa. Qui la fiaba potrebbe avere un lieto fine oppure tornare a essere più nera di prima.
De Paolis, a uno sguardo più costruito, fatto di situazioni, di episodi, di aneddoti, con i diversi personaggi che, entrando in scena, manifestano uno o più aspetti di un’umanità disorientata, spesso repellente, sovrappone un’osservazione quasi documentaria, tesa a rivelare le esperienze quotidiane della protagonista e delle sue compagne.

DENTRO e fuori il bosco, in scena e fuori scena, i personaggi sono disposti in luoghi poco chiassosi, mai affollati come se, attraversata una porta, fossero precipitati (o fuggiti) in un universo parallelo. Una zona franca nella quale la lotta per la sopravvivenza appartiene solo a una parte, cioè alle donne della pineta, alle vittime della tratta, alle giovani che sotto gli occhi di tutti sono state prelevate per dare ad altri la possibilità di commettere ogni specie di abuso.
In questo alternarsi di tempi e luoghi, si avvicendano attimi più leggeri, quasi delicati, a momenti nei quali la realtà si ripropone nella sua veste più crudele. E quasi si prova un senso di pudore nell’aver approfittato di quella fuggevole leggerezza, di aver sorriso, ad esempio, quando Princess incontra Corrado, un uomo eccentrico, fuori dal mondo, ma in questo caso per sua scelta. In quegli incroci, forse casuali, forse no, si incarna il desiderio di qualcosa che possa eliminare le asperità della vita, che consegni alla fatina anche la sua bacchetta magica. Ma così non può essere. De Paolis non si lascia ingannare dalla sua stessa scelta narrativa. Forse perché accanto a pochi attori professionisti, tra cui il «solito» eccezionale Lino Musella, si affiancano donne come Glory Kevin, l’interprete di Princess, che parte di quelle storie le hanno vissute e poi, nel corso del tempo, raccontate e rielaborate per trasformarle in un film.

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