Primarie il 19 febbraio, presentazione delle candidature entro il 27 gennaio. Enrico Letta arriva oggi all’assemblea nazionale Pd con questa proposta, che ha il sapore di un ultimatum: prendere o lasciare. Il segretario uscente negli ultimi giorni ha lavorato a una faticosa mediazione tra le correnti, tra chi spingeva per anticipare le primarie e chi voleva una fase costituente più lunga (la sinistra).

Alla fine Letta è riuscito a mantenere la costituente nei termini previsti dalla direzione di qualche settimana fa, e cioè fino al 20 gennaio, quando l’assemblea dovrebbe approvare il nuovo manifesto dei valori.

Accorciate invece le fasi successive: tra il 27 gennaio e il 12 febbraio gli iscritti voteranno mozioni e candidati, i primi due classificati si sfideranno alle primarie il 19 febbraio. Più di così, Letta non poteva fare, volendo aprire un congresso costituente e non delle normali assise, vista la portata storica della sconfitta del 25 settembre.

A ieri sera il clima sembrava indicare che, alla fine, le correnti avessero accettato la mediazione. Ma nulla è scontato: oggi serviranno almeno 500 voti per approvare le modifiche allo statuto, pensate per accorciare i tempi del congresso (senza modifiche i gazebo sarebbero ad aprile) e per aprire agli esterni, e cioè a Bersani, Speranza e gli altri di Articolo 1 e ad Elly Schlein, che ad oggi è una delle principali aspiranti alla successione di Letta pur senza essere iscritta al Pd.

La mediazione convince poco la sinistra e le altre anime dem, ma dovrebbe essere accettata per rassegnazione. L’alternativa sono le dimissioni immediate del segretario, la fine di ogni di processo costituente e un normale percorso verso primarie a primavera, con il rebus su chi dovrebbe guidare il partito fino ad allora: la presidente Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto, o un reggente, che però dovrebbe trovare i voti in assemblea, cosa assai complicata.

Letta pare moderatamente ottimista sull’esito dell’assemblea, con la coscienza a posto per aver fatto «tutto il possibile» per avviare il percorso del congresso tenendo unito un partito sull’orlo dell’implosione. E del resto le liti degli ultimi giorni sulla road map sono state una pericolosa avvisaglia: nessuno si fida più di nessuno, e soprattutto nessuno è convinto di poter restare in un partito guidato dai suoi avversari interni: la destra degli ex renziani di Guerini non resterebbe in un partito guidato da Schlein o da Orlando; e viceversa le sinistre interne ed esterne farebbero molta fatica a restare in un Pd guidato da Stefano Bonaccini, aperto alla collaborazione privilegiata con Renzi e Calenda.

L’obiettivo della costituente è fissare una cornice di valori e programmi che possa tenere tutti insieme: ma è chiaro che se si dovesse iniziare a discutere seriamente di lavoro, fisco e precariato la spaccatura emergerebbe in modo plastico. Così come è avvenuto in queste ore sulla candidatura di Pierfrancesco Majorino in Lombardia, che non è andata giù alla destra interna che voleva seguire Calenda nell’abbraccio con Letizia Moratti.

Sulla carta, i 500 voti necessari per dare il via al congresso oggi ci dovrebbero essere: la sinistra interna si è convinta a votare la proposta di Letta per senso di responsabilità; così gli ex renziani di Base riformista. «Avremmo voluto tempi più rapidi, ma siamo persone responsabili e voteremo questa proposta di sintesi», spiega il coordinatore dell’area Alessandro Alfieri. «L’importante è dare un segnale di anticipo rispetto ai tempi previsti inizialmente e far partire il congresso».

Le primarie infatti erano state fissate il 12 marzo: l’anticipo è stato proposto dal segretario per accorciare questa fase di limbo e per rispondere alle pressioni arrivate dall’area vicina a Stefano Bonaccini: alcune donne dem guidate da Alessandra Moretti hanno infatti raccolto oltre 1000 firme su una petizione che chiedeva i gazebo già gennaio.

Se tutto filerà liscio, la prossima settimana la direzione Pd voterà il comitato costituente, composto da personalità di alto profilo (intellettuali, associazioni, mondo del lavoro, ecc.) che avrà il compito di redigere il nuovo manifesto. Probabile anche che nei prossimi giorni, una volta fissata la road map, Bonaccini sciolga la riserva e si candidi ufficialmente. Per Schlein percorso più lungo: prima valuterà gli esiti del percorso costituente.