Macron temporeggia. Prima di sparire per una sequenza internazionale: Consiglio europeo, G7 in Baviera, vertice a Nato a Madrid, Conferenza sull’Oceano a Lisbona. Oggi finisce di ricevere all’Eliseo i rappresentanti dei partiti presenti nel nuovo parlamento, il cui mandato inizia ufficialmente oggi. Ieri ha respinto le dimissioni della prima ministra, Elisabeth Borne, presentate come vuole la tradizione dopo le elezioni legislative. Ma questa volta, la manovra assume un altro senso: lasciando in sella il governo Borne, comprese le tre ministre che hanno perso i duelli elettorali (Transizione ecologica, Sanità e Mare), in attesa di un chiarimento della situazione, Macron conferma la difficoltà a cui è messo a confronto all’inizio del suo secondo mandato all’Eliseo, con la perdita della maggioranza assoluta.

LA MAGGIORANZA dell’area Macron – Ensemble – è molto relativa: mancano 43 seggi per poter far approvare le leggi. Di conseguenza, in un paese poco incline ai compromessi politici tra forze concorrenti, è tutto un sistema che deve essere rivisto sotto la pressione del risultato delle urne. L’obiettivo ora è trovare la strada per evitare un paese ingovernabile. Borne riceverà la settimana prossima i capigruppo dell’Assemblée nationale. L’alleato François Bayrou ha suggerito a Macron di «avvicinarsi il più possibile a un’unione nazionale», anche se è chiaro che ci sono forze politiche che non vogliono, ma «bisogna essere responsabili». Ma già i Républicains hanno rifiutato ogni accordo. Con il voto per la presidenza del Parlamento, il 28 giugno, e l’accoglienza della legge sul potere d’acquisto, a inizio luglio, ci saranno i primi chiarimenti.

INTANTO, IERI, sono arrivati in massa i 141 della Nupes e affiliati, con un cicerone speciale: Jean-Luc Mélenchon, che non si è presentato candidato e quindi non ha più nessuna carica ufficiale, ma era ancora in carica nel Parlamento uscente fino a ieri sera, ha potuto accogliere il gruppo diventato molto più consistente rispetto al 2017. Il vecchio leader ieri ha sparato a zero contro Borne, chiedendone ad alta voce le dimissioni: se il 6 luglio, giorno previsto per la dichiarazione di politica generale della prima ministra di fronte al Parlamento, Borne non metterà la fiducia, allora lo faranno i deputati con una mozione di censura (per la Costituzione il voto di fiducia non è obbligatorio, del resto con Mitterrand negli anni ’80, tre primi ministri senza maggioranza – Michel Rocard, Edith Cresson, Pierre Bérégovoy – non avevano chiesto la fiducia).

«Borne non mi fa né caldo né freddo – ha commentato Mélenchon – non ha nessuna legittimità, è zero». In sostanza, Nupes promette un’opposizione frontale. Ma nella coalizione ci sono già le prime crepe. Mélenchon ha ammesso ieri di essere stato «troppo rapido» nel chiedere agli alleati di formare un solo gruppo all’Assemblée nationale. Ps, Pcf, e Europa-Ecologia hanno rifiutato e non hanno nessuna intenzione di cedere. Il segretario del Ps, Olivier Faure, ritiene che il paese «non è bloccato».

OGGI ARRIVERANNO a Palais Bourbon gli 89 deputati del Rassemblement National. È questa la più grossa novità del parlamento eletto il 12 e 19 giugno, che ha segnato la fine definitiva della barriera contro l’estrema destra. Marine Le Pen, che sarà capogruppo, ha suggerito ai suoi di «comportarsi bene», di rispettare l’istituzione, di venire vestiti con decoro. È l’ultima fase della “banalizzazione” dell’estrema destra, l’ultimo tocco per diventare – o sperare di essere – forza di governo. Il Rn disputa alla Nupes la presidenza della potente commissione finanze (elezione il 30 giugno) e la leader vorrebbe la vice-presidenza dell’Assemblée nationale. Intanto, Rn si è rimesso in salute finanziaria, grazie al numero di deputati (e ai soldi che ne derivano) potrà restituire il prestito russo.