A 60 giorni dall’inizio della rivolta che sta trasformando la società iraniana, ieri una corte rivoluzionaria di Teheran ha comminato la prima condanna a morte di un iraniano accusato di aver preso parte alle proteste accese a metà settembre dall’uccisione della 22enne Jihna Mahsa Amini.

A dare conto della pena capitale è la stessa magistratura iraniana: il manifestante, di cui non è stato indicato il nome, è accusato del reato peggiore, moharebeh, offesa a dio e allo stato.

Potrebbe essere il primo di una serie: del migliaio di attivisti già incriminati (dei 14-15mila arrestati, numero probabilmente al ribasso), sono 20 quelli che rischiano la vita.

Agli occhi delle autorità della Repubblica islamica, simili condanne dovrebbero frenare la protesta. Finora senza successo: 136 le città in aperta ribellione, 134 le università con gli studenti in prima linea da mesi.

MA LA PRIGIONE, intesa da quattro decenni dal regime come bavaglio principe del dissenso in Iran, incombe e distrugge. Domenica la 19enne Yalda Aghafazli si è tolta la vita dopo dieci giorni di carcere: arrestata il 26 ottobre scorso, era stata rilasciata il 6 novembre senza che le venisse comunicata la natura delle accuse contro di lei e dopo giorni di sciopero della fame. «Overdose», la causa della morte secondo la polizia,

È qui, in cella, che si prosegue la rivolta delle strade: lo sta facendo Hossein Ronaghi, blogger di 37 anni e collaboratore del Washington Post e del Wall Street Journal, in sciopero della fame da 50 giorni come estrema forma di protesta contro l’incarcerazione.

Una modalità comune a oppositori e dissidenti a ogni latitudine, unico strumento per togliere allo Stato il monopolio della violenza. Sabato Ronaghi aveva deciso di rinunciare anche l’acqua dopo il rifiuto delle autorità carcerarie a fornirgli cure mediche.

Era stato arrestato a settembre, per aver condannato la reazione repressiva del regime. Stava rilasciando un’intervista quando è dovuto scappare. È stato catturato poco dopo.

«È in condizioni critiche – ha detto sabato il fratello Hassan – Oggi ha perso conoscenza. Le autorità carcerarie di Evin stanno pianificando di ucciderlo». Il giorno dopo Ronaghi è stato trasferito nell’ospedale Najmia di Teheran, ma la famiglia non è stata autorizzata a incontrarlo.

IL GRUPPO di manifestanti che si è dato appuntamento fuori dall’ospedale è stato disperso dalla polizia con i lacrimogeni, mentre il sito della magistratura iraniana, Mizan, definiva «buone e completamente stabili» le sue condizioni di salute.

È in tale contesto che ieri le guardie rivoluzionarie hanno ripreso gli attacchi missilistici contro postazioni curdo-iraniane nel Kurdistan in Iraq. Due i combattenti uccisi e sei i feriti dai missili sul quartier generale del Pdk-I a Koya e del partito Komala, vicino Suleymaniyah.

«Il regime tenta di distogliere l’attenzione dal suo fallimento nell’opprimere il popolo. Vuole fingere che le proteste nazionali siano limitate alle aree curde e baluce», dice Mohammed Saleh Qadri (Pdk-I).