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Il dilemma dell’Iran: quando, come e se rispondere

Le bandiere statunitense e israeliana bruciate a Teheran foto Ap/Vahid SalemiLe bandiere statunitense e israeliana bruciate a Teheran – Ap/Vahid Salemi

Medio Oriente Teheran aveva appena chiesto di riprendere i negoziati sul nucleare. Il leader supremo Khamenei, spostato in un luogo segreto, condanna con forza ma stavolta evita di minacciare la «vendetta di sangue»

Pubblicato 11 minuti faEdizione del 29 settembre 2024

L’assassinio di Hassan Nasrallah apre un dilemma per il potere della Repubblica Islamica. Nel raid israeliano al quartier generale di Hezbollah a Beirut è rimasto ucciso anche l’alto comandante iraniano Abbas Nilforoushan, insieme ad altri funzionari iraniani, rendendo ancora più difficile la decisione che Teheran dovrà prendere.

Non è ancora chiaro quale potrebbe essere la reazione. Poche ore dopo l’attacco israeliano si è riunito il Consiglio di Sicurezza e il leader supremo Khamenei è stato condotto in un posto sicuro.

Secondo alcuni conservatori iraniani è improbabile che gli israeliani, dopo l’assassinio di Nasrallah, si fermino nel loro piano di trascinare la regione in una disastrosa guerra nel tentativo di cancellare le atrocità e il genocidio commessi e di completare il piano di liberare la Cisgiordania e Gaza dai palestinesi. Affermano che occorre colpire Israele prima che colpisca.

Il messaggio del premier Netanyahu nel discorso alle Nazioni unite («Se voi ci attaccate noi vi colpiremo. Non ci sono posti in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere») è stato interpretato come dichiarazione di guerra. Altri analisti Iraniani richiamano alla cautela, avvertendo di non cadere nella trappola tesa dagli israeliani, che trascinerebbe il paese in una guerra in cui inevitabilmente Stati uniti ed Europa si schiererebbero al fianco del loro alleato, da loro finanziato e armato.

NEL SUO MESSAGGIO di cordoglio, Khamenei scrive: «I colpi del fronte della resistenza sul corpo logoro e in decadenza del regime sionista diventeranno sempre più devastanti. La natura malvagia del regime sionista non ha ottenuto vittoria in questa azione».

Le sue parole, pur molto dure, non richiamano direttamente alla «punizione» o alla «vendetta di sangue», termini utilizzati in occasioni simili, e lasciano il compito di colpire Israele al Fronte della Resistenza. Questo potrebbe indicare che la Repubblica islamica, per il momento, non intende entrare in un conflitto diretto.

Tuttavia, il timore degli iraniani che Israele possa colpire anche obiettivi in Iran, per evitare che Teheran cerchi il confronto frontale, è reale, soprattutto dopo le parole del capo degli affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, che ha dichiarato: «Nessuna potenza, compresi gli Stati uniti, può fermare il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu».

La debolezza della politica estera americana e l’inattività europea sembrano oggi un trampolino per Netanyahu, che punta a ristabilire il potere di deterrenza frantumato dopo il 7 ottobre e dimostrare che nessuno può negargli carta bianca, ottenuta grazie all’appoggio incondizionato degli occidentali.

Il messaggio per i paesi arabi è chiaro: se volete sicurezza, dovete appoggiarvi a Israele. E così Masoud Pezeshkian, presidente iraniano, nella sua dichiarazione di cordoglio, punta il dito contro l’amministrazione statunitense e scrive: «La comunità internazionale non dimenticherà che l’ordine per questo attacco terroristico è stato emesso da New York e gli americani non possono scagionarsi dalla complicità con i sionisti».

MA DI CERTO l’assassinio di Nasrallah è stato un colpo duro per l’establishment iraniano, che cercava di contenere le attività dei suoi proxy nella regione e riaprire i negoziati sul nucleare. Dopo anni di dichiarazioni sulla distruzione di Israele, Pezeshkian all’Onu aveva affermato: «L’Iran è determinato a garantire la propria sicurezza, non a creare insicurezza per gli altri. Desideriamo la pace e non abbiamo conflitti con nessuno», parole che sembrano essere ignorate dalle cancellerie occidentali.

Gli iraniani, che soffrono per la grave crisi economica e accusano l’establishment di aver speso miliardi di dollari per sostenere i propri proxy regionali senza nessuna utilità, apprendono la notizia freddamente, se non addirittura con ironia. Mentre poche persone si radunano in piazza Palestina, nel cuore di Teheran, e sbandierando le bandiere di Hezbollah e quelle palestinesi manifestano la loro condanna.

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