Una Roma sfolgorante di sole fece da sfondo alla prima parata nazionale dell’orgoglio glbt (poi anche q+) il 2 luglio 1994. Il Pride con la p maiuscola sbarcava anche in Italia, un quarto di secolo dopo la leggendaria rivolta di Stonewall di New York.

In questo debutto il movimento glbt affrontava la sfida della piazza e si scopriva non solo sgargiante e vivace ma anche solido e articolato. Nelle strade della capitale erano arrivati gruppi e associazioni da ogni parte del paese, con relativi striscioni, che insieme al popolo queer romano e ai simpatizzanti delle delegazioni di partiti e sindacati offrivano un bel colpo d’occhio ai passanti assiepati sui marciapiedi.

Migliaia di persone in assetto di festa, con i più vari addobbi e abbigliamenti, a stemperare l’estrema serietà delle rivendicazioni del movimento: lotta alle discriminazioni, all’omofobia e riconoscimento legale delle coppie gay e lesbiche.

La vetrina del Pride mostrava che questa battaglia poteva già contare su una certa forza d’urto, anche se l’Italia del 1994 registrò l’evento in modo piuttosto distratto.

Fare finta di niente si rivelò comunque impossibile qualche anno dopo, quando il circolo Mario Mieli di Roma lanciò l’idea di tenere nella capitale il Worldpride 2000, un appuntamento di risonanza mondiale, e la mise in pratica con eroica testardaggine a dispetto delle pressioni e delle proteste della chiesa e delle destre e pure di dubbi più progressisti.

Così, nell’anno del giubileo cattolico e con l’anatema esplicito del papa, la bandiera arcobaleno si prese la scena per un giorno e in centinaia di migliaia parteciparono e assistettero a una sfilata destinata a entrare nel mito.

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A quel momento si era arrivati dopo mesi di polemiche e riflessioni sotto i riflettori dei media, che avevano segnato un punto di non ritorno: la questione dei diritti glbtq+ entrava da allora in modo stabile nel dibattito pubblico, con la destra quasi all’unanimità schierata dietro l’oscurantismo della chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e la sinistra sulla carta sensibile alle richieste di uguaglianza delle persone glbtq+ ma nei fatti timida e bloccata dalla propria componente cattolica.

Il Pride nazionale, intanto, era diventato grande e passava ogni anno da una città all’altra, sempre accompagnato dalla cagnara degli omofobi di professione. Che a un certo punto passarono al contrattacco e il 12 maggio 2007, per sbarrare la strada a un progetto di legge governativo sui diritti delle famiglie di fatto etero e omo, inondarono Roma con il Family day, un festival della famiglia tradizionale con palloncini e bambini organizzato dagli integralisti cattolici.

Botta e risposta: quattro settimane dopo dal palco del Roma Pride 2007 saliva l’urlo “siamo un milione”. E al di là dei battibecchi sulle cifre la manifestazione era davvero enorme, a sottolineare la scarsa iniziativa della politica istituzionale. Il disegno di legge sui Dico (diritti dei conviventi) contribuì persino a far cadere il secondo governo Prodi all’inizio del 2008, con successive elezioni che consegnarono una solida maggioranza a Berlusconi.

Di nuovo al punto di partenza: in quattro decenni di battaglie il movimento glbtq+ non aveva avuto nessuna soddisfazione sul piano legislativo, ma in compenso aveva irrobustito il proprio radicamento sociale e poteva approfittare del fatto che il resto del mondo occidentale stava rapidamente aprendo al riconoscimento del matrimonio ugualitario e delle famiglie omoparentali.

Con il trascorrere del tempo l’Italia rimaneva sempre più sola nell’eludere la questione, malgrado il Pride continuasse a farsi sentire. Nel 2011, ancora a Roma, aveva la voce di Lady Gaga ospite d’onore al Circo Massimo per l’oceanico raduno dell’Europride.

Il Pride alla fine crebbe tanto da diventare un’onda: da dieci anni a questa parte, archiviata la manifestazione nazionale, Onda Pride è la staffetta degli eventi che si tengono a livello locale in Italia lungo un calendario di mesi.

Sempre tanta gente in piazza, mentre le generazioni si avvicendano. Dal 2016 abbiamo anche le unioni civili introdotte dal governo Renzi, e i giovani che hanno raccolto il testimone del Pride avranno potuto rifiatare un attimo e apparire più svagati di chi li ha preceduti.

Persino arrivare a confondere Stonewall con Stonehenge, come un personaggio della sitcom Will e Grace. Ma la realtà è lì a ricordarci che distrarsi è pericoloso.

L’omofobia militante è sempre in voga in tutte le dittature che affollano il pianeta, e contraddistingue anche la radicalizzazione reazionaria della destra in Europa, negli Stati Uniti e in America Latina.

In Italia, nel nostro piccolo, abbiamo il governo Meloni che si accanisce contro i figli delle coppie lesbiche e gay. Con l’aria che tira il Pride rimane un fatto molto politico.