Europa

Presidenziali francesi all’ombra della guerra

Presidenziali francesi all’ombra della guerraMosca, un’incontro tra Vladimir Putin e Marine Le Pen; in basso l’intervento in tv di Emmanuel Macron – Ap

Corsa all’Eliseo Macron, che non si è ancora ufficialmente candidato, prende punti. Le Pen in imbarazzo ritira i volantini con Putin. Domani ultima chance per i concorrenti al primo turno del 10 aprile

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 3 marzo 2022

Per la seconda volta dall’inizio dell’attacco russo, Emmanuel Macron si è rivolto ai cittadini. Per «proteggere», di fronte al ritorno del «tragico» in Europa, ma soprattutto per lanciare un’Europa «potenza», un «nuovo modello economico» di indipendenza: energetica, di difesa, resiliente. Il 10 e 11 ha annunciato un vertice a Versailles sulla difesa europea. «Non siamo in guerra contro la Russia, contro il popolo russo», la ricerca del dialogo con Putin continua, ma l’esigenza è il cessate-il fuoco da parte di chi ha la responsabilità di aver iniziato la guerra, «l’attacco brutale iniziato da Putin», che ha già fatto tanti morti, «i giorni seguenti saranno ancora più duri», ci sono rischi di «contagio» in una guerra sempre più sporca. I francesi e gli europei dovranno far fronte agli effetti delle sanzioni, ci saranno misure di protezione, la Francia accoglierà dei rifugiati.

IERI, NON ERA IL MOMENTO per dichiarare la candidatura da parte del presidente, per evitare la confusione di generi, ma a Macron resta pochissimo tempo. Domani alle ore 18, il Consiglio costituzionale chiude il conteggio dei “patrocini”, per i concorrenti al primo turno del 10 aprile, i cui nomi saranno ufficializzati lunedì 7 marzo. Per convalidare le candidature ci vogliono almeno 500 firme di eletti (sindaci, deputati delle due camere e del parlamento europeo, consiglieri degli enti locali): il sistema è un “filtro” per evitare il moltiplicarsi di candidature. Fino all’ultimo, i tre candidati di estrema destra (Marine Le Pen, Eric Zemmour, Nicolas Dupont-Aignan), come già successo nelle precedenti presidenziali, hanno messo in scena il rischio di restare fuori per mancanza di “firme”, ma il problema è rientrato. Jean-Luc Mélenchon ha rischiato, mentre ieri Christiane Taubira, ex ministra di Hollande, ha gettato la spugna, per mancanza di sostegni sufficienti.

LA CAMPAGNA, che non è mai decollata davvero, è ormai travolta dalla guerra, che occupa tutta la discussione pubblica. Macron attende l’ultimo momento, il ruolo di presidente lo mette al di sopra della mischia (e i sondaggi già registrano un aumento delle intenzioni di voto a suo favore). L’estrema destra è all’angolo a causa di Putin e del sostegno dato al presidente russo fino alla guerra d’Ucraina. Adesso, Marine Le Pen prende le distanze, ma ha dovuto distruggere 1,2 milioni di volantini già stampati con la sua foto assieme a Putin. Zemmour deve far dimenticare di aver affermato di voler essere «il Putin francese». #VladimirZemmour e #MarinePutin spopolano sulle reti sociali. Le Pen ha deviato l’angolo di attacco sul potere d’acquisto, diminuito dalle sanzioni alla Russia, Zemmour insiste sul rigetto dei rifugiati, ucraini compresi. Per Valérie Pécresse, candidata dei Républicains, le difficoltà sono venute dall’ex primo ministro e candidato del 2017, François Fillon, che solo obtorto collo, dopo alcuni giorni di polemica, ha abbandonato i lucrativi posti nei consigli di amministrazione di società russe.

PUTIN E L’UCRAINA stanno creando un’ulteriore divisione a sinistra. Nel mirino degli altri candidati di questo schieramento politico, dalla socialista Anne Hidalgo al verde Yannick Jadot, c’è Jean-Luc Mélenchon. Il leader della France Insoumise ha sostenuto che la Francia deve restare «non allineata, che significa che né la Russia deve essere in Ucraina né gli Usa devono ammettere l’Ucraina nella Nato». Pur condannando l’invasione, si è schierato contro le sanzioni alla Russia. La polemica spacca la sinistra sull’invio di armi agli ucraini, con Mélenchon contrario, Jadot e Hidalgo a favore. «Mélenchon non perde mai occasione per essere compiacente con Putin» attacca Jadot, che lo accusa di «riprendere la propaganda russa». Come Jadot, Hidalgo mette in luce la frattura a sinistra sulla politica estera (a cominciare dai legami con il Venezuela) e infila Mélenchon nello stesso sacco dell’estrema destra, che «trovano in ogni circostanza scuse per Putin». Il comunista Fabien Roussel resta nell’ambiguità, condanna l’invasione ma evita di affrontare la questione delle sanzioni o del ritiro delle truppe russe dall’Ucraina.

LA GUERRA RENDE DIFFICILE il dibattito democratico. Macron è molto attivo nella diplomazia, che assorbe tutto il suo tempo, ma il portavoce del governo, Gabriel Attal, assicura: «Il dibattito democratico è assolutamente essenziale» e «avrà luogo». I Républicains già accusano una «crisi di legittimità» del futuro presidente, se non ci sarà dibattito sui programmi.

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