Preghiere e digiuni per la pace. Il papa scende in campo: «Fermatevi!»
Israele/Palestina All'iniziativa lanciata da Bergoglio rispondono i fedeli in tutto il mondo. Ma la diplomazia vaticana non ha spazi
Israele/Palestina All'iniziativa lanciata da Bergoglio rispondono i fedeli in tutto il mondo. Ma la diplomazia vaticana non ha spazi
Nelle piazze si manifesta, nelle chiese si digiuna e si prega per la pace in Palestina. Tante comunità cristiane hanno risposto all’appello di papa Francesco che all’Angelus di domenica scorsa aveva lanciato per il 27 ottobre una giornata di digiuno e preghiera per la pace: «La guerra è una sconfitta, è una distruzione della fraternità umana. Fermatevi!», aveva detto Bergoglio pensando «a quanto sta accadendo in Israele e in Palestina», «alla grave situazione umanitaria a Gaza», «a ostaggi, feriti, vittime e loro familiari».
Ieri sera nella celebrazione che si è svolta nella basilica di San Pietro – e in contemporanea in molte altre chiese in tutto il mondo -, il pontefice si è rivolto a «Maria Regina della pace», perché insegni agli uomini «a ripudiare la follia della guerra, che semina morte e cancella il futuro», e «ispiri vie di pace ai responsabili delle nazioni». Ci troviamo nella «notte dei conflitti», in «un’ora buia», in tempi «lacerati dai conflitti e devastati dalle armi», in un «mondo in pericolo e subbuglio» perché la «famiglia umana ha smarrito la via della pace» e «ha preferito Caino ad Abele», ha detto ancora Francesco affidandosi alla preghiera mariana: «Scuoti l’animo di chi è intrappolato dall’odio, converti chi alimenta e fomenta conflitti».
L’indizione di una giornata di digiuno e preghiera per la pace non è una novità, anzi ha assunto una valenza di atto pubblico e in un certo senso politico durante il pontificato di Francesco. La prima volta, infatti, fu già pochi mesi dopo la sua elezione, nel settembre 2013, quando Bergoglio chiamò i cattolici a digiunare e a pregare per la pace in Siria, alla vigilia di quello che sembrava un imminente intervento militare occidentale contro Damasco, poi ritirato. E lo schema si è ripetuto altre volte: nel 2018 per il conflitto in Sud Sudan e Repubblica democratica del Congo, nel marzo 2022 per la guerra in Ucraina, pochi giorni dopo l’invasione russa.
Ieri di nuovo, a sostegno indiretto della storica posizione della Santa sede di «due popoli, due Stati, unica soluzione per un futuro di pace», come ribadito in mattinata dal cardinale segretario di Stato Parolin a margine di un convegno per i cento anni dalla nascita del cardinale Silvestrini, uno degli artefici della Ostpolitik vaticana. La liberazione degli ostaggi e la crisi umanitaria di Gaza «sono i due focus sui quali si sta concentrando l’azione della Santa sede», ha detto Parolin, rivelando che si sta lavorando a un possibile incontro fra il papa e i familiari di alcuni ostaggi in mano ad Hamas.
Al momento non ci sono «grandi spazi» per una mediazione della Santa sede, ha ammesso il porporato, «c’è però la possibilità in loco, con la presenza della Chiesa locale, attraverso il Patriarcato latino di Gerusalemme, che ci sia qualche interlocuzione e scambio di messaggi. Tutto quello che è possibile fare lo faremo».
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