Dalla campagna brindisina la decisione della Corte suprema statunitense di negare il diritto all’aborto può sembrare lontana, ma le parole di Paul B. Preciado mostrano come si tratti di una reazione a una trasformazione epocale che riguarda chiunque. Nella contrada «La luna nel pozzo» teatro del festival Sherocco, tra muretti a secco, trulli e fichi d’india, il filosofo e attivista queer dice: «C’è una guerra mondiale per la sovranità dei corpi e sui corpi»

Che ha pensato quando ha letto la notizia?

Non mi ha sorpreso. C’è una rivoluzione in corso contro la quale reagisce un movimento di controriforma. L’abolizione della legge sull’aborto si prepara da molto tempo. Prima che finisse il mandato di Trump, 34 paesi si sono riuniti nella Dichiarazione di Ginevra. Tra loro non c’era una frattura identitaria tra paesi occidentali o orientali, cristiani o musulmani. Continuiamo a lavorare politicamente su queste distinzioni ma quella dichiarazione mostra che c’è un fronte patriarco-coloniale di natura trasversale. Non dico che viviamo in una situazione di colonialismo o patriarcato come nel XVIII secolo. Mi riferisco a una certa epistemologia, un sistema di rappresentazione del corpo e della sua sovranità. Stiamo vivendo una guerra per la sovranità di alcuni corpi su alcuni organi. In termini marxisti parliamo di conflitti per i mezzi di produzione, ma questo riguarda i mezzi di riproduzione. È una guerra somatopolitica, dei corpi e per i corpi, per la definizione degli usi dei corpi. Non mi interessa definire questa battaglia secondo la logica dell’identità, opponendo uomini e donne, femminismo e antifemminismo. Mi sembra più interessante guardarla come una guerra per la definizione della sovranità dei corpi. La legge statunitense è molto legata alle pratiche eterosessuali, ma non è una battaglia identitaria che riguarda solo le donne eterosessuali. Ci sono donne, come le donne lesbiche, che hanno un utero ma non ne fanno un uso gestante. Mentre ci sono uomini trans che hanno un utero gestante. Questa battaglia riguarda anche loro, è per la sovranità di certi organi.

Qual è la frattura allora?

È tra un fronte fascista di riforma patriarco-coloniale e un insieme di corpi che lottano per la definizione di una nuova sovranità oltre la tassonomia patriarcale e coloniale. Per esempio il movimento Black lives matter, che pensa il corpo oltre il suo essere forza di produzione per il colore della pelle, o il movimento transfemminista. Negli ’30 o ’40 la frattura era tra fascismo e comunismo, oggi si è spostata. Da un lato abbiamo questo fascismo che chiamo petro-sesso-razziale, perché riguarda anche la questione del regime produttivo e dell’uso dell’energia fossile, e dall’altro un insieme di corpi che lottano per la ridefinizione della loro sovranità. Tra questi c’è il corpo del pianeta, degli animali. Tutta la questione ecologica ha a che fare con la ridefinizione della vita.

Chi sta vincendo?

Difficile dirlo, la guerra va vista nel contesto più ampio di una svolta epistemica. Nei secoli XV, XVI e XVII c’è stato un cambio epistemico con il passaggio da un sistema terracentrico a uno eliocentrico e dalla fisica aristotelica a quella di Newton. Ci rendiamo conto che l’universo non gira intorno a noi, ma siamo un piccolo pianeta che ruota intorno al sole. Dagli anni ’20 del secolo scorso viviamo una nuova svolta epistemica che inizia con la fisica quantistica, continua con la scoperta del funzionamento della doppia elica del Dna e la decodificazione del genoma umano. Questo produce un modo totalmente distinto di rappresentare corpi, universo ed energia. La guerra di cui parlavo nasce in questo contesto. Il cambio precedente è coinciso con la caduta dei regimi monarchici, la rivoluzione francese. Adesso che succederà?

Tutto questo c’entra con l’aborto?

Cos’è l’aborto? Una tecnologia del corpo. Le femministe che criticano il movimento trans restano dipendenti da un’idea di natura. Ma l’aborto non è naturale. Ed è accompagnato da un altro insieme di tecniche di gestione della riproduzione, come la pillola del giorno dopo o quella contraccettiva, che è un ormone. Come quelli che usano le persone trans nella transizione. Le femministe dovrebbero smettere di pensare all’utero e al corpo femminile come qualcosa di naturale altrimenti, mi spiace, ma non si può abortire. Dobbiamo creare un’alleanza di corpi contro la norma e reclamare l’uso delle tecnologie del corpo.

L’interpretazione costituzionale della Corte statunitense è stata definita «originalista» perché prende il testo del Settecento e dice che dentro non c’è il diritto all’aborto…

Perché quelli che chiamiamo diritti sono tecnologie ed è chiaro che nel 1787 non c’erano. Mi piace leggere la storia delle precedenti svolte epistemiche per capire quello che sta accadendo oggi. Quando c’è un momento di passaggio prima che appaia il nuovo il vecchio si irrigidisce. Anche se tutti sanno che è totalmente obsoleto. La nozione di «originalità» invocata dalla Corte è come un’invocazione a Lucy, la donna preistorica scoperta dagli antropologi. È una finzione storica.

Questo dice chi sta vincendo?

È chiaro che noi siamo dal lato della realtà. Quando ci dicono che siamo costruttivisti mentre gli altri sono naturalisti, rispondo: no, noi siamo realisti. La realtà sta dal nostro lato. Le pratiche di trasformazione del corpo continueranno a esistere, anche se in forma illegale. Possiamo guardare quello che sta accadendo in due modi. Dicendo: che orrore, stiamo tornando al passato, non possiamo fare niente. Oppure riconoscere che la rivoluzione in corso è così forte che la Corte statunitense deve provare a fermarla con le unghie. Vogliono tornare al Settecento, ma questa rivoluzione è inarrestabile. Perché è accompagnata da un nuovo paradigma: i laboratori cinesi fanno ricombinazioni genetiche da due cellule femminili, i laboratori farmaceutici inventano tecniche neurologiche di modificazione della soggettività. Il problema non è che la rivoluzione non stia avvenendo, ma come realizzarla. Qual è il processo di organizzazione necessario a questa trasformazione rivoluzionaria? È questa la vera domanda, quella più complessa.

I gruppi antiabortisti usano la libertà come bandiera quando si tratta di armi, misure anti-contagio, essere padroni a casa propria, ma poi rifiutano la libertà dei corpi di autodeterminarsi. Sembra il contrario dei processi di liberazione. Che succede con questo concetto?

Nel mio nuovo libro, Disforia mundi, parlo molto del tema. È stato impressionate vedere la destra appropriarsi della nozione di libertà. Credo sia utile studiare i teorici della colonizzazione perché mostrano l’origine della nozione moderna di libertà. Questa appare nel contesto dello schiavismo, dove la libertà è la condizione di comprare di schiavi, che invece non ne dispongono. È fondamentale ascoltare i movimenti antirazzisti e di liberazione nera: dicono che l’attuale nozione di libertà è un privilegio coloniale. Aggiungerei, patriarco-coloniale. Un privilegio dell’uomo bianco eterosessuale, non nel senso di uno specifico soggetto ma di un’epistemologia, di un tipo di accesso alla sovranità totale sui corpi. È questo privilegio che i partiti di destra chiamano libertà. Contro di esso mi piace parlare di pratiche di invenzione della libertà. La libertà non si acquisisce per nascita, se no è quella del colono che possiede territori, schiavi e donne. In senso foucaultiano la libertà è un esercizio. Non un privilegio, ma una pratica. Un atto di invenzione.