In Turchia si assiste alla fuga anche del personale medico. Secondo l’Unione dei Medici di Turchia (Ttb), solo nei primi sette mesi di quest’anno, 1.683 medici hanno chiesto il nullaosta con l’obiettivo di trasferirsi e lavorare all’estero. Tra i principali motivi per questa scelta ci sono le difficili condizioni di lavoro, la crisi economica, il precariato e la diffusa violenza nei confronti dei lavoratori della sanità.

IL QUADRO è abbastanza negativo perché i medici che se ne vanno sono in aumento e hanno vari anni di esperienza alle spalle. Nel 2019 per la prima volta è stata superata la soglia dei 1.000, nel 2020 nonostante il divieto di licenziamento per via della pandemia 931 medici hanno lasciato la Turchia e nel 2021 questo numero è salito a 1405. Secondo il report diffuso dalla Ttb a giugno di quest’anno più del 54% ha diversi anni di esperienza nel settore. Vedat Bulut, il presidente dell’Unione, ritiene che il numero possa salire a 2.500 a fine anno.
Le condizioni economiche sono il principale problema per i medici. Tahsin Cinar è un anestesista: «A livello redditizio posso dire che si tratta di uno dei lavori meno soddisfacenti della Turchia. Per esempio lo stipendio di un assistente è sotto la soglia della povertà. Quindi è impossibile affittare una casa in una città come Istanbul per questo motivo siamo obbligati a lavorare di più e fare straordinari in continuazione. Oggi molti assistenti imparano una seconda lingua per andare a lavorare all’estero».
Secondo il ricercatore universitario Enes Özkan, specializzato in economia all’Università di Istanbul, la crisi economica ha reso ancora più difficile la situazione: «L’inflazione in crescita ha degli effetti sulla fuga dei cervelli. L’inflazione è il risultato di una politica economica basata su scelte sbagliate. Stiamo parlando di una cifra che è al di sopra della soglia dell’80%».

«SE NE VADANO pure. Abbiamo costruito degli ospedali, abbiamo sostenuto i loro studi e oggi vogliono andare a lavorare all’estero? Ho scoperto che prendono circa 8-9 mila Lire, alcuni pure 25 mila Lire. Non gli basta? Allora noi porteremo dei medici dall’estero»: queste sono state le parole del presidente Erdogan a marzo, quando ha affrontato la fuga dei medici di cui ormai parlano quasi ogni giorno i media.
Oltre alla questione economica c’è anche la violenza crescente tra i motivi che spinge i medici a lasciare la Turchia. Secondo il sindacato di categoria Saglik-Sen, nel 2021 almeno 12.905 persone impiegate nel settore della sanità sono state vittime di violenza. Invece nei primi cinque mesi del 2022 sono stati identificati 197 aggressori ma soltanto per 47 sono state aperte delle inchieste, e nessuno di loro è stato arrestato. Quindi la Turchia è da ritenersi un paese pericoloso anche per chi lavora nella sanità.

Lo scorso luglio è stato assassinato Ekrem Karakaya, cardiologo dell’ospedale di Konya, lo stesso mese un gruppo di assalitori ha fatto irruzione nel pronto soccorso dell’ospedale di Cukurova picchiando diversi dipendenti, e ad agosto sia ad Ankara che a Batman ci sono stati vari casi di violenza contro i medici. Secondo la cardiologa Bengi Baser, la mancanza di personale, il malfunzionamento della sanità, le lunghe attese, l’alto numero di pazienti per un medico e l’impunità degli aggressori hanno aumentato i casi di violenza.
In un servizio realizzato dalla redazione in lingua turca della Bbc nel dicembre 2021 alcuni medici immigrati in Europa raccontano le motivazioni della loro scelta. Duygu Ozturk lavorava come praticante, è emigrata in Inghilterra nel 2020: «Le condizioni di lavoro pesanti e la diffusa violenza alla quale ho assistito diverse volte mi ha spinto a lasciare la Turchia. Non posso dimenticare quel giorno in cui mi sono rinchiusa in una stanza per scappare dagli aggressori che terrorizzavano tutti al pronto soccorso. Qui invece abbiamo una condizione di lavoro molto più serena e ci prendiamo veramente cura del paziente». Ugur Gokcelli invece lavorava come chirurgo nel sud-est della Turchia, a Cizre: «In questa zona si sentiva una forte mancanza di personale. In tutta la provincia di Cizre eravamo soltanto tre chirurghi. Mi prendevo cura, ogni giorno, di circa 90 pazienti all’ospedale poi di giorno e di notte facevo degli interventi che potevano durare anche 8 o 9 ore. Alla fine ho deciso di emigrare in Germania. Qui dedico circa 20 minuti ad ogni paziente, in Turchiaavevo al massimo 2 o 3 minuti». Duygu Keskin Gökçelli lavorava come psichiatra, ha deciso anche lei di emigrare in Germania: «Ogni giorno i miei ex colleghi mi chiedono come possono venire qui. Sono tante le persone che vogliono lasciare la Turchia».

LA PRIVATIZZAZIONE e gli investimenti sbagliati e populisti nella sanità pubblica in questi ultimi venti anni sono anch’essi elementi importanti che hanno danneggiato il settore e spinto il personale sanitario a lasciare il paese. Secondo una relazione presentata dalla Camera dei Medici di Istanbul a maggio 2021, un quinto del budget ministeriale viene indirizzato nelle casse degli ospedali privati per sostenere le loro spese e per compensare la differenza quando offrono un servizio convenzionato ai cittadini. Un esempio concreto di questa scelta politica si vede nei numeri; nel 2002 per ogni 100 persone risultavano disponibili 7 posti letto negli ospedali privati invece nel 2019 questo numero è salito a 21(+200%). Anche il numero degli ospedali è salito in venti anni da 271 a 575 (+112%) invece quelli pubblici, che erano 774 nel 2002, oggi sono 895 (+15%). L’esempio più emblematico di questa politica sbagliata forse si trova nella nomina del Ministro della Sanità. Fahrettin Koca è il creatore di una fondazione che, oltre ad avere 11 ospedali privati, ha una gruppo di ricerca scientifica e un’università privata. Koca è anche nel consiglio amministrativo di un’azienda privata che opera nel settore della sanità: Haksag, fondata dalla comunità religiosa Iskenderpasa di cui il ministro fa parte.