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Post su Facebook, le «prove» dell’Egitto contro Patrick Zaki

Post su Facebook, le «prove» dell’Egitto contro Patrick ZakiUn murales contro l'omofobia al Cairo

La piramide del terrore Detenzione preventiva di 15 giorni che potrebbe essere rinnovata, prima udienza il 22 febbraio. Nel fascicolo della procura anche un falso verbale di perquisizione. La famiglia: «Non è una minaccia per nessuno». Gli amici: «Al centro di tutte le battaglie per i diritti»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 11 febbraio 2020

«Non corrisponde al vero quanto circolato sui social media circa l’arresto di un italiano chiamato Patrick. La persona in questione è di nazionalità egiziana…ed è stato fermato in esecuzione di un mandato di cattura emesso dalla procura generale»: con queste poche aride parole il ministero dell’Interno egiziano ha risposto al clamore internazionale suscitato dal rapimento, le torture e l’arresto dello studente Patrick George Zaki sequestrato dalla Sicurezza di Stato all’aeroporto del Cairo di ritorno dall’Italia, dove risiede per studio.

Toni che stridono con l’affetto e la stima comunicata da chi lo conosce personalmente. «Patrick è uno studente brillante – dice al manifesto un’amica e collega del master – Ha conseguito una borsa dell’Unione Europea molto ambita, passando attraverso un processo di selezione durissimo».

Il master GEMMA di Bologna in Studi di genere e delle donne a cui è iscritto Patrick, «è il master di riferimento a livello europeo in questo ambito», sponsorizzato direttamente dalla Commissione europea. La collega lo descrive come una persona estremamente aperta, con una grande voglia di conoscere, perfettamente a suo agio nell’ambiente del master, al quale sono iscritte persone «tutte provenienti da paesi e continenti diversi».

«Ama Bologna – continua l’amica – e non smette mai di ripetere quanto sia contento di studiare finalmente qualcosa che gli piace e gli sta a cuore». Lui che si è laureato in farmacia al Cairo, ma poi ha voluto proseguire scegliendo un percorso che lo portasse ad avere una formazione specifica sui temi che gli stanno a cuore, in particolare gli studi di genere in relazione ai diritti umani.

Erano stati i genitori a regalargli i biglietti aerei per tornare brevemente in visita a casa, sarebbe stata la prima volta da quando si era trasferito a Bologna. «Certamente non si aspettava che gli sarebbe potuto succedere niente del genere – dice ancora la sua collega – Altrimenti non sarebbe partito».

A salvare Patrick dall’eventualità di sparire nel nulla sarebbe stata la telefonata fatta al padre dall’aeroporto quando ha capito di rischiare l’arresto.

Patrick George Zaki

 

«Patrick è sempre stato al centro di tutte le battaglie per i diritti umani in Egitto», scrivono i suoi amici, sin da quando all’università tedesca da membro del sindacato studentesco si batteva contro l’espulsione degli studenti politicamente attivi. «Ha combattuto instancabilmente per la protezione e la realizzazione delle libertà fondamentali degli oppressi e degli emarginati», senza fermarsi neppure dopo che l’ascesa al potere di al-Sisi ha messo a tacere tantissime voci.

Nell’agosto 2017 aveva iniziato a lavorare a tutti gli effetti per l’Egyptian Initiative for personal rights, tra le più grandi organizzazioni egiziane per i diritti, collaborazione che aveva interrotto lo scorso agosto partendo per Bologna per potersi dedicare ai suoi studi.

Intanto grazie ai suoi avvocati sono iniziati a circolare altri dettagli sul sequestro e la successiva trafila. Secondo il sito Mada Masr, Patrick sarebbe rimasto bendato per tutto il tempo della sua sparizione forzata, più di 24 ore durante cui sono avvenute le torture, i pestaggi e le minacce.

Il procuratore che lo ha interrogato si è rifiutato però di mettere agli atti la sua testimonianza, dichiarando che non era quello il luogo trattandosi solo di un interrogatorio preliminare.

A Patrick è stato presentato un fascicolo contenente alcuni suoi presunti post su Facebook (che lui ha disconosciuto) e che finora sono l’unica prova presentata, oltre a un falso verbale di perquisizione risalente al settembre 2019.

«Non riusciamo finora a comprendere le accuse contro Patrick – scrivono i familiari in un comunicato diffuso ieri – Nostro figlio non è mai stato una fonte di minaccia o di pericolo per nessuno, è sempre stato un sostegno e un aiuto per tante persone».

Contro di lui è stato impiegato l’armamentario classico di accuse ormai rivolte a tutti gli attivisti. Il rischio è che la detenzione preventiva venga rinnovata a oltranza ogni 15 giorni fino a due anni, e poi ancora ogni 45 giorni come prevede la legge, come accade alla gran parte dei dissidenti detenuti senza condanna, che così non possono neanche sapere quando l’incubo finirà.

Per Zaki prima udienza il 22 febbraio: si saprà se sarà rinviato a giudizio, rilasciato o se la detenzione sarà estesa.

La richiesta di parenti e amici è che Patrick George Zaki venga immediatamente rilasciato, che vengano stralciate tutte le accuse mosse nei suoi confronti e che si apra un’inchiesta sul sequestro e le torture che ha subito.

Ieri sono riprese le lezioni del master e oggi Patrick sarebbe dovuto rientrare in Italia dalla sua breve vacanza. «Le autorità egiziane hanno dichiarato che non è italiano, come se questo li autorizzi a farne quello che vogliono – afferma l’amica di Patrick – Ma noi diciamo di no. Patrick vive a Bologna e qui deve tornare. E tornerà».

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