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Post oscurati, account sospesi: Meta censura la Palestina

Post oscurati, account sospesi: Meta censura la Palestina

Israele/Palestina L'ultimo rapporto di Human Rights Watch. Intervista a Deborah Brown: «Dopo i casi del 2011 la società garantì che avrebbe affrontato il problema. Oggi dobbiamo concludere che quegli impegni non sono stati rispettati»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 22 dicembre 2023

Meta, l’azienda statunitense che possiede Facebook e Instagram, starebbe «soffocando le voci a sostegno dei palestinesi di Gaza, in un momento in cui subiscono sofferenze indicibili e avrebbero più bisogno del sostegno internazionale». Così Deborah Brown, direttrice associata per il settore Tecnologia e diritti umani di Human Rights Watch, commenta la principale conclusione dell’ultimo rapporto di 51 pagine Meta’s Broken Promises: Systemic Censorship of Palestine Content on Instagram and Facebook.

Dopo l’operazione militare lanciata da Israele contro la Striscia in risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre che ha causato 1.200 vittime, i social media si sono riempiti di contenuti a sostegno della causa palestinese e israeliana, anche con foto e video di attacchi e vittime. Al contempo è iniziata a circolare tra attivisti, giornalisti e influencer ma anche semplici internauti, il sospetto che gli algoritmi delle piattaforme stiano penalizzando chi si esprime a favore della popolazione palestinese, che a oggi conta 20mila morti.

L’ULTIMO studio di Hrw conferma che qualcosa non torna. Brown, in collegamento dalla sede dell’organizzazione a New York, ci spiega: «Abbiamo raccolto 1.050 segnalazioni da 60 paesi. Analizzandole, siamo stati in grado di identificare sei modalità di censura: rimozione di contenuti, sospensione o eliminazione degli account, impossibilità di interagire con post, video o storie, difficoltà a seguire o taggare account, restrizioni all’uso di determinate funzionalità come le live di Instagram o le dirette Facebook, e infine lo shadow banning», vale a dire la significativa riduzione della visibilità di post, storie o account, e di conseguenza la capacità degli altri utenti di visualizzare quei contenuti nella home di Facebook o nel feed di Instagram.

Ma non finisce qui: «Abbiamo riscontrato l’impossibilità degli utenti di contestare la rimozione dei post o del proprio account, perché la procedura per richiedere assistenza non funziona. Ciò riguarda 300 casi compresi nei 1.050». Numeri forse esigui se comparati alla mole di interazioni quotidiane. Tuttavia, argomenta Brown, «rendono conto di pattern specifici. Inoltre tra le oltre mille segnalazioni raccolte, solo una è relativa a un contenuto di sostegno a Israele».

Hrw sostiene che, nei casi documentati, Meta abbia agito in osservanza della policy «contro organizzazioni e individui pericolosi» che fa sua la lista delle organizzazioni terroristiche stilata dal governo degli Stati uniti, che comprende anche Hamas.

Pertanto, l’intenzione iniziale dell’azienda sembrerebbe limitare la diffusione di messaggi d’odio o violenza relativi al gruppo armato palestinese e agli altri movimenti affiliati. Ma, come si legge nel report, tale policy «è stata applicata in modo radicale», arrivando a «bloccare il legittimo dibattito sul conflitto», così come «erroneamente» sarebbe stata osservata la policy sui contenuti che incitano a odio e violenza, o con riferimenti espliciti al nudo e agli atti sessuali, per «rimuovere decine di contenuti che documentano feriti e morti palestinesi», senza tener conto del fatto che «hanno valore di notizia».

«NON POSSIAMO dire che Meta silenzi il dibattito legittimo sul conflitto israelo-palestinese in modo intenzionale – puntualizza la ricercatrice – tuttavia è al corrente di questi problemi: Hrw aveva già documentato la censura in un rapporto del 2021 dopo i fatti di Sheikh Jarrah», ossia le proteste, approdate anche sui social, contro sgomberi forzati di famiglie palestinesi da un quartiere di Gerusalemme est.

«Dopo quel report – ricorda Brown – Meta garantì che avrebbe affrontato il problema. Oggi, alla luce dei dati raccolti, dobbiamo concludere che quegli impegni non sono stati rispettati». Tuttavia «Meta ha la responsabilità di garantire la libertà di espressione tanto quanto quella di limitare contenuti d’odio o violenti».

Venir meno a quel compito, conclude, «fa sì che molte violazioni dei diritti umani vengano silenziate. Il fenomeno non riguarda solo i palestinesi. Ma dobbiamo ribadire che quella popolazione oggi subisce la censura mentre patisce sofferenze indescrivibili. La gente ricorre ai social network proprio per informare e generare consapevolezza nelle persone, affinché intraprendano azioni in ogni parte del mondo. La difesa dei diritti umani va tutelata, sempre».

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