Porro (Sos Mediterranée): «In questa crisi sbagliano sia Roma che Parigi»
Mediterraneo Parla il soccorritore e presidente del ramo italiano dell'organizzazione che gestisce la Ocean Viking: «L’Italia non può sottrarsi agli obblighi stabiliti dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra. Torneremo a chiederle il porto»
Mediterraneo Parla il soccorritore e presidente del ramo italiano dell'organizzazione che gestisce la Ocean Viking: «L’Italia non può sottrarsi agli obblighi stabiliti dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Ginevra. Torneremo a chiederle il porto»
Alessandro Porro è presidente di Sos Mediterranée Italia, uno dei quattro rami nazionali dell’organizzazione che usa la nave Ocean Viking per salvare persone. Da cinque anni trascorre metà tempo a terra e metà nel Mediterraneo centrale, imbarcato come coordinatore dei soccorsi.
Vi è stato assegnato il porto francese di Tolone. Siete soddisfatti?
Siamo sollevati per i naufraghi. Alcuni erano a bordo da 19 giorni e c’è chi è stato in mare 72 ore prima di essere trovato. Siamo stati di fronte a un’emergenza umanitaria importante. Esacerbata dai rifiuti dell’Italia. Dai ritardi per l’assegnazione di un porto. Abbiamo fatto 40 richieste. Questo non ci mette nella condizione di essere soddisfatti o sereni perché una cosa garantita dal diritto come il soccorso in mare è diventata uno scontro politico a livello internazionale. In queste situazioni, invece, dovrebbe affermarsi il principio di una responsabilità europea, ovviamente anche italiana. Cosa che si è verificata con estremo ritardo.
A bordo com’è la situazione?
Adesso è distesa. Si vede la fine di questo tempo sospeso. Negli ultimi due giorni era stata molto complicata. Ci sono stati anche scontri. Questa mattina [ieri per chi legge, ndr] abbiamo evacuato d’urgenza tre persone che erano in condizioni di salute difficili e un loro parente. La loro situazione era stata comunicata alle autorità nei giorni precedenti, ma si è via via aggravata. Diventando intollerabile e bisognosa di essere presa in carico in maniera immediata. Le persone sono state evacuate in Francia.
Nei giorni scorsi avevate denunciato dei casi medici più gravi e una generale situazione psicologica dei naufraghi di tipo «critico». Non è stata rischiosa la traversata verso la Francia in quelle condizioni?
Era anche rischioso trovarsi davanti a uno sbarco selettivo che, per quello che abbiamo visto e che abbiamo ascoltato dai giuristi, sarebbe stato al di fuori del diritto. Fino a tre giorni fa le condizioni di queste persone erano gestibili. Sono peggiorate col passare del tempo.
Lei ha detto che l’Italia «non è più un porto sicuro», un’espressione che ha un significato preciso e descrive paesi come la Libia. Non chiederete più a Roma di indicare un luogo di sbarco?
Lo chiederemo ancora. Perché se ci trovassimo, e ci troveremo, a fare dei soccorsi nelle prossime settimane o mesi avremo ancora l’Italia e Malta come primi e naturali luoghi di sbarco. Per una questione geografica. Quello che è stato sollevato ieri dal portavoce del governo francese è che l’Italia ha degli obblighi stabiliti dal diritto internazionale del mare e da convenzioni come quella di Ginevra. Non può sottrarsene.
Il vostro caso ha aperto uno scontro diplomatico tra Italia e Francia. Chi ha ragione?
Assistiamo a una crisi senza precedenti che non dovrebbe esistere. Dal 2016, anno della nostra fondazione, invochiamo una netta distinzione tra soccorso in mare, che facciamo noi, e immigrazione, che viene eventualmente certificata dopo lo sbarco. Chiediamo sistemi europei di ricerca e soccorso prevedibili, gestibili, chiari e responsabilità condivise di tutti gli Stati. Ci preoccupa l’uso strumentale delle persone per ribadire alcuni concetti politici. Quindi siamo preoccupati sia dell’atteggiamento italiano, che in questi giorni si è dimostrato contro le regole, che di quello francese, che sembra una specie di ripicca.
Quando tornerete nella zona di ricerca e soccorso?
Siamo medici, infermieri, mediatori culturali, operatori umanitari. Il nostro lavoro è fare quello che l’Ue non fa: il soccorso in mare in zone pericolose. Dal 2014 ci sono stati più di 24mila morti nel Mediterraneo. Questo ci dice che dobbiamo stare là, affinché l’Europa possa fare a meno di noi. Non cancellandoci, ma arrivando al riconoscimento della necessità di un progetto europeo di soccorso.
Ma ripartirete o no?
Affermativo.
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