«Al cinema i personaggi trans vengono costruiti seguendo degli stereotipi, per questo hanno delle sbavature e non corrispondono al vero. Con Roberta Torre è stato diverso: ci ha osservate, ci ha ascoltate, e su questa base è nato il film». Così Porpora Marcasciano, attivista di lunga data e «nume tutelare» del movimento trans in Italia, racconta Favolose, presentato in apertura alle Notti Veneziane, sezione interna alle Giornate degli autori. La regista Torre lo definisce un film di fantasmi, e lo è per diversi motivi: perché contiene una vera e propria seduta spiritica, con l’evocazione di una vecchia amica uccisa in un’aggressione, ma soprattutto perché le protagoniste tornano con i ricordi al loro passato, fatto di momenti di divertimento, trasgressione e gioco ma anche di sofferenza per le tante difficoltà nell’affermare un’identità trans.

Porpora Marcasciano
Siamo state a tutti gli effetti cancellate dalla storia, senza un lavoro di ricostruzione le nostre rivolte e le nostre battaglie sarebbero andate perduteMassimina Lizzeri, un’altra «favolosa» attrice del cast, lo spiega così: «Se parliamo di fantasmi non è un caso, lo siamo state per decenni. Non mogli, non madri, non lavoratrici, non riconosciute come donne. Presenti nella società ma allo stesso tempo assenti». Una cancellazione che avviene anche nel film, quando l’amica deceduta viene seppellita con abiti maschili, appartenenti alla sua vecchia identità: «È stato un costume molto diffuso in passato, quando l’esperienza trans ha iniziato ad essere visibile. Era come una vendetta della famiglia patriarcale che si riprendeva ciò che era sfuggito al suo controllo. Oggi avviene sicuramente meno» spiega Marcasciano.
È indubbio infatti che alcuni cambiamenti sono avvenuti rispetto a quaranta o cinquant’anni fa – Torre lo definisce «un movimento simile a quello dello spirito hegeliano», per cui una realtà finisce necessariamente per manifestarsi – ma è allo stesso tempo vero che l’esperienza trans non è ancora pienamente compresa e accettata.

LO TESTIMONIA un’aggressione violenta ad opera di un branco subita da Porpora Marcasciano pochi giorni fa, mentre era in spiaggia. Alla domanda se ci sono stati realmente dei progressi in questi anni, lei risponde così: «Il bicchiere lo vedo mezzo pieno, ma cambiare il mondo non è una cosa semplice, non si fa dall’oggi al domani. È una lunga lotta che stiamo ancora portando avanti e guai se ci fosse un termine. Quello che mi è successo la settimana scorsa è significativo dell’ambiente e del clima culturale in cui viviamo, ma può succedere in qualsiasi momento». E sul momento politico che stiamo vivendo, incalza Lizzeri: «Il messaggio del film è anche questo: noi non ci stiamo più ad essere additate dall’odio, dallo stigma. Questa politica di destra che sta rialzando prepotentemente la testa continua a creare nemici e persone da perseguitare per legittimare la propria esistenza». Un discorso a cui contrapporne un altro, ispirato da valori e atteggiamenti opposti, che è diventato il fulcro dell’attività di Marcasciano, così come di Nicole De Leo – anche lei nel film – presidente del Mit, il Movimento Identità Transgender.

È STATO NECESSARIO un lavoro, ancora in corso, per ricostruire questa narrazione «altra»: «In questi anni mi sono impegnata a raccogliere la documentazione storica, perché noi siamo state a tutti gli effetti cancellate dalla storia. Le nostre rivolte e le nostre battaglie sarebbero andate perdute. Le nuove generazioni hanno degli strumenti che permettono di conoscere, noi ci siamo dovute imparare persino le parole» spiega Marcasciano. E di linguaggio parla anche Roberta Torre, a proposito del «tono» del film: «Volevo lavorare sulla leggerezza pur raccontando esperienze a volte drammatiche, ho trovato delle persone che condividevano in pieno questo approccio. Solo chi ha una grande forza può attraversare con leggerezza anche i luoghi più tenebrosi».