Rubriche

Populismi che non conoscono il popolo?

In una parola

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 6 dicembre 2022

«Gli italiani preferiscono il Pos», titolava la prima pagina de La Stampa ieri. Ma nell’”occhiello” del titolo (quella riga sopra i caratteri più grandi) si precisava che a favore del Pos – pagare con carte e bancomat anche piccole spese – è il 56 per cento. Certo, una bella maggioranza assoluta. Tuttavia potrebbero non essere pochi quelli che gongolano per le idee del governo Meloni sull’uso del contante… Subito sotto il sondaggio sul gradimento della «manovra» economica. Mi ha sempre interrogato l’uso di questa parola per definire le scelte di politica economica.

Fa pensare a qualche non semplice operazione automobilistica – un posteggio difficile, un sorpasso azzardato – oppure a qualche macchinazione alle spalle dei destinatari dei flussi di investimenti, risparmi, tasse, bonus ecc. Niente a che vedere con il rapporto tra le risorse finanziarie e materiali e la vita concreta di tutti). Comunque il giudizio è «deludente», solo poco più del 30 percento dei consultati la considera efficace.

Ma che cosa ci dicono più precisamente questi sondaggi su che cosa c’è nella testa della «gente», o se si preferisce dei cittadini e delle cittadine?

Qualche giorno fa è stato presentato il 56° Rapporto Censis, che contiene – per con metodologie opportunamente messe in discussione nel servizio su questo giornale di Roberto Ciccarelli – qualche approfondimento più ricco sulle opinioni del nostro popolo. Che è molto più preoccupato della guerra e di nuove crisi economiche che di tutto il resto. Soffre per i bassi salari, non apprezza che i manager guadagnino milioni su milioni mentre lo stipendio di tanti lavoratori – anche quelli che hanno la fortuna di un “posto fisso”- troppo spesso non permette di arrivare alla fine del mese. E impedisce una vita dignitosa.

Il Corriere della Sera sabato ha dedicato all’analisi del Censis un colonnino a pagina 17, riprendendo nel titolo l’immagine di una Italia «Post populista e malinconica». Sotto il titolo la ridda di percentuali e altri numeri sulle tendenze, le opinioni, gli stati d’animo e la povertà che avanza.

Si ha una doppia sgradevole sensazione. Che queste immagini e numeri sappiano dirci qualcosa di importante molto meno di una volta. E che se anche lo facessero, non interesserebbe molto a coloro – eletti in Parlamento, ministri, dirigenti dei partiti ecc. – che dovrebbero orientare le proprie iniziative, scelte, decisioni proprio sulle attese, bisogni, desideri, dei cittadini e delle cittadine che – per la verità sempre in minor numero – votano per dare un governo al Paese.

Chiacchiere approssimative anche le tue, mi si potrebbe obiettare. Forse è così.

Diciamo che sento la mancanza di due cose nel dibattito pubblico e nelle prassi politiche, almeno quelle di cui parlano i media. È possibile che nell’era della rivoluzione digitale e della iperconnessione dei cittadini dotati praticamente tutti quanti almeno di un cellulare, non si possano studiare (ripeto, studiare) e sperimentare con pazienza altri metodi di conoscenza delle opinioni che si vanno formando e deformando nella testa di ognuno di noi? I grillini ne avevano fatto una faccenda distintiva, ma caricata di ideologie più che banali, di turpiloqui e dissennatezze varie abbiamo visto la fine che ha fatto.

E non è incredibile che partiti e movimenti in chiassosa ricerca di una identità smarrita non facciano praticamente nulla (di visibile) per capire qualcosa in più di come vive, pensa, agisce il popolo sempre blandito dai leader che vanno e vengono?

Più che di post-populismi parlerei di populismi che non conoscono il popolo. Vorrebbero controllarlo. Ma questo lo fanno già meglio altri.

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