Mentre il governo Meloni invia a Bruxelles l’istanza per il cofinanziamento degli studi sul Ponte nello Stretto con l’obiettivo di intercettare i contributi economici della «Connecting Europe Facility», il principale strumento di finanziamento per collegare da nord a sud e da est a ovest l’Europa attraverso nove corridoi e che fino al 2027 impiegherà quasi 26 miliardi in infrastrutture, a Messina e a Villa San Giovanni la popolazione si mobilita e annuncia battaglia. I numeri circolati subito dopo la pubblicazione dell’avviso per gli espropri, in realtà, sono ben diversi da quelli emersi a caldo.

Si parla di oltre 1.500 famiglie coinvolte, ben oltre i 450 cittadini calcolati sulle proiezioni fatte prima dell’approvazione della legge 58 del 2023. Il documento aggiornato dal governo conta ben 1.528 pagine, alle quali corrispondono interi edifici, attività commerciali e terreni agricoli coltivati ad agrumeto e ulivi. L’area interessata ai lavori del Ponte sarebbe di circa 18 chilometri e riguarderebbe sei comuni della provincia di Messina e quattro limitrofi a Villa San Giovanni. «Stiamo parlando di un impatto sul territorio mai visto prima, neanche per la Tav – dice Daniele Ialacqua del Comitato No Ponte di Capo Peloro -. Siamo in stato di assedio sia a Messina sia a Villa San Giovanni». Gli abitanti sono in agitazione. Chi non aderisce ai comitati di lotta si sta organizzando con i propri legali, altri invece cercando sponde nelle amministrazioni. In Calabria e in Sicilia regna il caos dopo l’avviso sugli espropri.

«C’è una situazione incandescente – spiega Ialacqua -. Anni fa come Comitato No ponte avevamo chiesto un dibattito pubblico ma nessuno ci ha dato conto. Adesso lo Stato ci informa che l’8 aprile attiverà due sportelli a Messina per tre giorni e a Villa San Giovanni per 48 ore con lo scopo di dare informazioni sulle procedure relative agli espropri. Lo Stato non può agire così, è inconcepibile».

Per la stessa giornata il Comitato ha organizzato una contro-manifestazione per distribuire un vademecum alla popolazione col supporto di uno staff di legali che stanno seguendo il dossier. «Abbiamo un solo obiettivo – spiegano i No Ponte Capo Peloro – ed è quello di impedire l’apertura dei cantieri». Al loro fianco ci sono altri due comitati, Invece del Ponte e Spazio no Ponte. La speranza è che con loro si schierino in maniera continuativa anche chi il 2 dicembre dell’anno scorso ha contribuito a portare in piazza a Messina oltre 10 mila persone: Pd, 5s, Avs, ambientalisti e Cgil. L’auspicio è rivolto anche a Giuseppe Conte che il 15 aprile, secondo indiscrezioni, dovrebbe sbarcare a Messina proprio per ribadire il no dei 5stelle al Ponte.

Ieri a Villa San Giovanni si è riunita l’assemblea della rete No ponte per valutare le tante perplessità che riguardano le procedure avviate in queste settimane e propedeutiche all’apertura dei cantieri, il cui avvio è stato annunciato per lestate 2024. «Vogliamo fare informazione. L’avviso sugli espropri ha determinato allarme sociale tra la popolazione. Accanto ai disagi che un’opera così imponente determina va aggiunto, infatti, anche quello del danno da stress» ha detto l’avvocata Aurora Notarianni che ha citato «il mancato rispetto di alcuni commi del decreto Ponte nel quale si prevede che l’azione degli espropri sia preceduta dalla conferenza dei servizi, ancora non iniziata e la valutazione di impatto ambientale».

Di «grande operazione di propaganda» ha parlato Albero Ziparo, docente dell’Università di Firenze: «Il fatto che si annuncino gli espropri senza che ci sia un progetto esecutivo e definitivo è già sintomatico. Per la prima volta una grande opera italiana non ha struttura di missione al ministero, i dirigenti tecnici lasciano un’operazione di questa portata al ministro Salvini, al suo ufficio stampa e alla Società Stretto di Messina». «Non c’è un progetto definitivo – ha attaccato Domenico Gattuso, docente di Economia dei Trasporti dell’Università di Reggio Calabria – si è lavorato sul vecchio progetto del 2012 che era assolutamente carente, con molte prescrizioni e osservazioni. Manca uno studio sulla mobilità, sui flussi veicolari. Non è solo un problema di ambiente. Se addirittura si dice che i traffici sono diminuiti rispetto a 10 anni fa, va da sé che se diminuiscono i traffici l’inquinamento sarà minore. Forse, diminuendo i traffici, si lavora a un’opera sovradimensionata mentre non si interviene sui veri problemi delle due regioni come le reti ferroviarie inadeguate. Il problema non è porre la prima pietra ma porre le pietre che servono».

Al momento Bruxelles non prevede di finanziare il Ponte. Trattandosi di un progetto costoso serviranno risorse nazionali ma tra qualche anno «l’Italia potrebbe guardare a un finanziamento europeo» ha fatto sapere ieri Pat Cox, coordinatore della Rete transeuropea di trasporto (Ten-T) del Corridoio Mediterraneo-Scandinavo: «L’Italia, già oggi, ha accesso a svariati programmi di finanziamento europeo». La sinergia tra fondi sembra la via più rapida per sfruttare le risorse dell’Ue.