Pompeo cavaliere dell’Apocalisse, tranne a Riyadh
Medio Oriente Dopo avere tentato, senza alcun successo, di impartire il suo Vangelo anti-cinese a papa Bergoglio, il segretario di Stato Pompeo è andato in Medio Oriente a vestire i panni di […]
Medio Oriente Dopo avere tentato, senza alcun successo, di impartire il suo Vangelo anti-cinese a papa Bergoglio, il segretario di Stato Pompeo è andato in Medio Oriente a vestire i panni di […]
Dopo avere tentato, senza alcun successo, di impartire il suo Vangelo anti-cinese a papa Bergoglio, il segretario di Stato Pompeo è andato in Medio Oriente a vestire i panni di Cavaliere dell’Apocalisse, degli insediamenti israeliani e delle fake news, mentre gli Usa colpivano direttamente le casse della guida suprema iraniana Khamenei. Il tutto in funzione anti-palestinese e anti-iraniana ma anche contro la stessa Unione europea che il 14 dicembre lancia un Forum per la ripresa del business con Teheran, incoraggiata a osare – forse con eccessivo ottimismo – dall’ascesa alla Casa bianca di Biden, che da senatore votò a favore della guerra in Iraq nel 2003 e ora troverà davanti la terra bruciata da Trump.
In realtà, dopo avere appena rinunciato a colpire direttamente l’Iran (ma non è detto che non lo farà in Iraq o in Siria dove Israele bombarda quasi ogni giorno), Trump ha messo di nuovo in azione la mannaia delle sanzioni contro l’Iran per confortare l’amico Netanyahu e gli alleati del Golfo del patto di Abramo – Emirati e Bahrain – e soprattutto l’Arabia saudita, riempita di commesse di armi americane per 450 miliardi di dollari destinate a condurre una guerra genocidaria in Yemen. Guidata da quel principe Mohammed bin Salman – mandante dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, torturato e fatto a pezzi a Istanbul – che oggi verrà onorato ospitando il vertice del G-20. Non è un bel segnale elargire una patente di rispettabilità internazionale a un regime di assassini e torturatori che riempie le carceri di giornalisti e oppositori.
È il solito doppio standard. Il discorso sui diritti umani che gli Usa impartiscono a Teheran ogni volta che possono, Washington non osa mai farlo nei confronti delle monarchie del Golfo e di Riad, in base al patto voluto da Roosevelt che dal 1945 lega ai Saud tutti i governi americani. Un legame solo temporaneamente offuscato dall’accordo del 2015 sul nucleare iraniano che Trump ha cancellato, un’intesa molto strombazzata cui lo stesso Obama diede poco seguito, lasciando molte delle sanzioni che pesano ancora sul collo della repubblica islamica. E si capisce pure perché.
Leggendo il suo ultimo libro, Una terra promessa, si scopre che i brani dedicati da Obama ai capi stranieri (Putin, Sarkozy, Merkel, Cameron, Erdogan) rivelano un leader adagiato su luoghi comuni e stereotipi che ne ostacolano la comprensione del mondo. Con Cameron e Sarkozy (di cui parla malissimo), il premio Nobel per la pace 2009 ha pure distrutto nel 2011 la Libia di Gheddafi lasciando che il segretario di Stato Hillary Clinton combinasse disastri in Siria e Medio Oriente.
Per preparare un terreno minato all’agenda di Biden in politica estera, Trump ha così inviato il suo cavaliere dell’Apocalisse Pompeo che vorrebbe tenere a bada, oltre al Papa, le autorità religiose di mezzo mondo. In Turchia ha fatto visita al patriarca Bartolomeo I, leader spirituale dei cristiani ortodossi, che non può neppure rifiutare un incontro con un rappresentante americano visto che dagli Usa vengono la maggior parte dei contributi che lo tengono in piedi. Poi è andato a Psagot, primo alto rappresentante statunitense a visitare un insediamento ebraico costruito dentro ai Territori palestinesi occupati.
Lì – come ci racconta Michele Giorgio – ha comunicato che i prodotti delle colonie saranno commercializzati negli Usa con la dicitura Made in Israel. Così, corroborato dal vinello dei coloni, abbiamo scoperto che per Pompeo e gli Usa siamo tutti un po’ «antisemiti»: lo è il Bds, il movimento internazionale che promuove il boicottaggio di Israele per le sue politiche nei confronti dei palestinesi, ma lo è anche l’Ue, visto che per una sentenza della Corte di giustizia europea le merci prodotte dalle colonie non possono essere vendute in Europa con il Made in Israel ma con un’etichetta che precisi la provenienza dalla Cisgiordania occupata.
Ma il colpo finale dell’amministrazione Trump all’Iran, ai moderati del presidente Rohani e allo stesso Biden, è passato sotto silenzio. Eppure è il più insidioso. Il dipartimento al Tesoro ha decretato il sequestro sui beni e nuove sanzioni alle società della Bonyad Mostazafan, la Fondazione degli Oppressi che risponde direttamente alla Guida Suprema Alì Khamenei. Il maggiore conglomerato iraniano, molto attivo anche all’estero, con 160 società, 12 miliardi di dollari di fatturato, cinque milioni di dipendenti, anello chiave del welfare state iraniano. Secondo il Tesoro Usa la Bonyad vive dei sequestri fatti alle minoranze religiose ed etniche. È una fake news.
La Fondazione degli Oppressi, che certamente fa parte del sistema di potere dei conservatori, venne costituita per incamerare i beni della Fondazione Palhevi dello Shah e beneficiare i poveri. Fu un atto rivoluzionario. Ma raccontando un po’ di balle si può anche falsificare la rivoluzione del 1979 che depose il guardiano americano del Golfo: questo non va giù a Trump, a Pompeo e ai loro alleati in Medio Oriente. Lo digerirà l’amministrazione Biden?
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