Economia

Pnrr, via al decreto: il governo mette a gara anche i trasporti locali

Pnrr, via al decreto: il governo mette  a gara anche i trasporti localiA Roma – Vincenzo Tersigni/Eidon

Concorrenza "Piano nazionale di ripresa e resilienza". Il governo Meloni ha deciso: tram e bus, l’affidamento «in house» sarà l’eccezione, non la regola

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

Le ferrovie regionali e il trasporto pubblico locale potrebbero finire sul mercato. Tale possibilità è contenuta nel decreto legislativo approvato ieri dal Consiglio dei ministri che prevede la «messa a gara» di questi servizi come richiesto dalla Commissione Europea e accettato dai precedenti governi (Conte 2 e Draghi) al fine di ottenere i fondi del «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr).

Questo significa che, nel caso di importi superiori alle soglie di rilevanza europea, e al termine degli affidamenti esistenti sul trasporto pubblico locale, i comuni come ad esempio quello di Roma non potranno assegnare la concessione «in house», cioè all’Atac, ma dovranno prima dimostrare le ragioni per cui è più conveniente non affidare il servizio pubblico ad eventuali privati. È un’idea di «concorrenza» che rafforza la logica esistente e presuppone che il servizio pubblico non sia migliorabile in base al superiore interesse collettivo, ma in base all’«efficienza» fondata sui valori del mercato. All’idea di «concorrenza» è assegnato il ruolo di assicurare la «qualità» dei servizi pubblici.

La decisione del governo Meloni conferma la continuità ideologica con i precedenti esecutivi. Ciò che nella bozza del decreto è chiamato «razionalizzazione dei servizi pubblici locali» risponde a un nuovo tentativo di traghettare il «pubblico» verso il «privato» o, in mancanza di pretendenti, di rafforzare la gestione del «pubblico» nei termini di ciò che i critici del «new public management» hanno definito un «quasi mercato».

Per capire la logica che ha ispirato una simile decisione è sufficiente leggere cosa c’è scritto nel «Pnrr» sulla «concorrenza»: «Quando interviene in mercati come quelli dei farmaci o dei trasporti pubblici, i suoi effetti sono idonei a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale» (p.79). Questa illusione può riaprire il campo a mille torti possibili. È prevedibile che una simile scelta ravviverà in futuro le polemiche già sentite negli ultimi anni contro le «inefficienze» del pubblico e la presunta virtù dei «privati». In attesa è possibile condurre un esame sulle prospettive del «pubblico» a pochi mesi dall’uscita della pandemia. Prendiamo l’ultimo bilancio dell’Atac. Risultava in passivo di 44,9 milioni nel 2021, più che raddoppiato dai 22,1 milioni del 2020. Una situazione creata dalla pandemia che ha notevolmente diminuito la domanda di trasporto e quindi i ricavi. Ha pesato anche l’insufficienza dei ristori previsti e ottenuti. Atac è riuscita a generare flussi di cassa dalla gestione operativa pari a 50 milioni di euro che hanno assorbito l’impatto della crisi. Gli investimenti sono in crescita (55 milioni) rispetto al 2020 (29,8 milioni). Il servizio erogato è risultato in crescita del 6,2 per cento rispetto al 2020 e del 5,3 per cento rispetto al 2019. E questo nonostante l’organico sia in calo: dalle 11.507 unità del 2017 (anno di richiesta del concordato) alle 11.097 del 2021.

Nelle contese tra pubblico e privato sulla «concorrenza» chi ha la peggio è sempre chi lavora.

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