Pnrr, con la quinta rata Meloni cambia il piano
Meglio tardi che mai. La terza rata del Pnrr, 18,5 miliardi, dovrebbe arrivare a giorni e stavolta non ci saranno ostacoli. Il percorso è stato accidentato, la faccenda si sarebbe dovuta risolvere il 28 febbraio scorso, un obiettivo e 500 milioni di introito si sono dovuti spostare sulla quarta rata passata così a 16,5 mld, ma l’importante è che quei miliardi, già messi a bilancio, arrivino. Sulla quarta rata non si può nutrire altrettanta certezza, ma quasi sì. La richiesta è stata avanzata il 22 settembre scorso, la Commissione si è impegnata a rispondere entro ottobre, termine ultimo per l’arrivo di quei mld entro l’anno, in tempo per non dover rimettere le mani nel bilancio.
Il problema è che dopo la quarta arriva la quinta e, se le richieste di modifica delle due tranches precedenti erano contenute, con questa rata si comincia a fare sul serio. Ieri la cabina di regia ha fatto il punto. La rata, di 18 mld, dovrebbe essere erogata sulla base di 69 obiettivi da realizzarsi entro il prossimo 31 dicembre: 23 cosiddetti “milestones”, le mura portanti, e 46 target. Il 7 agosto scorso è stata presentata alla Commissione europea una proposta di modifica che porta gli obiettivi da 69 a 51. Tredici target dovrebbero secondo la richiesta italiana slittare, 6 verrebbero cancellati con l’obiettivo di spostarli su altri progetti con diverso finanziamento, come i Fondi di Coesione. I “milestones” passerebbero da 23 a 21.
Date le dimensioni dei cambiamenti invocati, nel caso della prossima rata non si può più parlare di ritocchi. Si tratta di una revisione in piena regola, che apre la strada alla trattativa, del resto già in corso, sulla massiccia “rimodulazione”, o riscrittura che dir si voglia, dell’intero Pnrr. Il verdetto della Commissione dovrebbe arrivare entro il 31 dicembre ma qui, a differenza che sulla riforma del patto di stabilità dove gli Stati rigoristi imperversano, è probabile che le richieste dell’Italia vengano almeno in gran parte accolte.
Dai crucci del Pnrr a quelli della legge di stabilità passeranno due giorni. Domani il cdm dovrebbe definire la Nadef, poi, entro il 15 ottobre la legge vera e propria dovrà essere inoltrata a Bruxelles. E’ il momento in cui, di solito, i partiti si accapigliavano sulla ripartizione della voci di spesa. Ma quando i soldi non ci sono litigare sul come spenderli è un esercizio ozioso. I temuti “assalti alla diligenza” sono un bel ricordo. La Lega e Fi insistono sulle loro richieste di bandiera ma sono strilli da copione, neppure Salvini e Tajani sperano che dal niente a disposizione del governo possa per miracolo venire fuori qualcosa da elargire. FdI non ha di questi problemi: si fa quel che vuole la premier e lei vuole la proroga del taglio del cuneo fiscale, certamente per sei mesi, forse per tutto il 2024, e gli aiuti per le famiglie, meglio se numerose.
Il braccio di ferro ci sarà ma sulle entrate più che sulle uscite, sul come reperire qualche soldo in più. La Lega chiede un condono per le piccole irregolarità edilizie. Fi concorda. FdI punta i piedi ma non sul condono in sé, quello è già certo: sull’opportunità di inserirlo in manovra oppure in un decreto ad hoc. Zuppa o pan bagnato. Fi invece chiederà un grande balzo in avanti sulla strada delle privatizzazioni: ufficialmente per alzare di 100 euro le pensioni minime, ma che si tratti di un alibi, anzi di un’esca per privatizzare i servizi pubblici nei porti e nei trasporti urbani è palese. Il Superbonus della discordia è un altro punto nevralgico: Fi non chiede solo la conferma per i condomini che abbiano portato a termine almeno il 30% dei lavori, insiste per lo sblocco dei crediti incagliati e sarebbe un altro esborso miliardario per lo Stato. Ma alla fine la discussione e forse il litigio sulle coperture si concentrerà sul punto essenziale: di quanto aumentare il deficit al momento concordato al 3,7%.
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