Placcaggio antirazzista
Stati Uniti L’encefalopatia traumatica colpisce i giocatori di football. Per i neri però, a causa di pregiudizi razziali, gli indennizzi sono minori. Una giudice ha finalmente chiesto una revisione del sistema
Stati Uniti L’encefalopatia traumatica colpisce i giocatori di football. Per i neri però, a causa di pregiudizi razziali, gli indennizzi sono minori. Una giudice ha finalmente chiesto una revisione del sistema
Un tribunale americano ha ordinato alla National Football League di abolire l’uso della «regolamentazione razziale» nello stabilire i risarcimenti per la encefalopatia traumatica cronica (Etc), devastante sindrome che colpisce in particolare giocatori di football americano a causa di ripetute commozioni cerebrali subite nel corso della carriera
LA SINDROME ETC è da anni al centro di polemiche riguardanti la sicurezza dello sport più popolare negli Stati uniti che sottopone i giocatori a ripetuti traumi cranici a causa delle violente collisioni che avvengono in campo.
I caschi integrali di cui sono dotati gli atleti proteggono il cranio ma hanno utilità limitata nell’evitare le forti sollecitazioni cui è soggetto il cervello su cui l’effetto più dannoso è quello di essere scosso con violenza all’interno della scatola cranica.
I soggetti che hanno avuto molteplici commozioni, spesso lungo anni di attività, sono spesso suscettibili, in età più avanzata, agli effetti cumulativi dei traumi: patologie neurodegernatrative come la sclerosi laterale amiotrofica e l’Alzheimer, statisticamente probabile in ex giocatori ad un tasso 19 volte superiore a quello della popolazione normale.
Dopo ripetute commozioni il tessuto stesso del cervello può subire modifiche con annessa ampia gamma di sintomi quali squilibri emotivi, emicranie, scompensi cognitivi e profonde depressioni che hanno dato luogo ad una vera e propria epidemia di suicidi.
La Etc fu inizialmente confermata dal neuropatologo nigeriano Bennet Omalu che agli inizi degli anni 2000 ha comprovato, dopo una serie di autopsie e analisi patologiche, i danni al tessuto cerebrale in individui affetti. Da allora i rilevamenti effettuati hanno accertato la presenza della sindrome, in vari gradi, nel 99% dei professionisti e perfino nel 21% degli atleti liceali. Uno studio del 2017 su Journal of the American Medical Association, ha rilevato che su 111 autopsie effettuate su ex giocatori, 110 recavano segni della sindrome. Sono seguite numerose cause legali e nel 2013 è stato stabilito un fondo di 765 milioni di dollari per risarcimenti e cure mediche per 18.000 ex giocatori. Ad oggi la lega ha sborsato un totale di un miliardo di dollari in risarcimenti a 600 giocatori su oltre 2000 che ne hanno fatto richiesta.
È STATO L’EPILOGO di una vicenda in cui la Nfl si è mossa con malafede simile a quella produttori di tabacco quando hanno tentato di «contenere» le rivelazioni scientifiche sui danni provocati dalle sigarette. Una politica di offuscamento ed occultamento dei dati, resistenza all’introduzione di nuove regole sulla sicurezza e infine una contrattazione al ribasso sui risarcimenti.
In quest’ambito sono avvenute le ultime rivelazioni che hanno messo in luce la pratica di sottovalutare i danni medici per minimizzare gli indennizzi, in particolare quelli dei giocatori afro americani che costituiscono la gran maggioranza dei titolari delle squadre.
IL CASO DERIVA da una causa portata da due ex giocatori , Kevin Henry e Najeh Davenport che si erano visiti negare risarcimenti richiesti come parte dell’arbitrato negoziato fra lega e sindacato dei giocatori.
I due hanno successivamente denunciato la pratica che nel calcolare i danni ricevuti da ogni giocatore considera la «norma di partenza» (il cosiddetto racial norming) del loro gruppo demografico. Ai giocatori neri viene così riconosciuta una minore capacità cognitiva «di base» e quindi un risarcimento minore. La giudice ha respinto il ricorso civile, ordinando però una revisione integrale del metodo per stabilire l’entità dei danni che il legale delle vittime ha definito «un esempio classico di razzismo sistemico».
IL TUTTO SI INSERISCE nel dibattito su razza e razzismo strutturale che coinvolge settori sempre più ampi della società americana. Più ancora di quello europeo con le sue esternazioni di razzismo esplicito, lo sport americano soffre si una fondamentale asimmetria razziale.
Dei tre sport nazionali solo il baseball ha un componente maggioritaria di giocatori bianchi (58%). Nella NBA (basket) e nella NFL la proporzione di atleti neri è di oltre il 75%. In entrambi i casi i proprietari delle squadre intanto sono preponderantemente bianchi (nel football 30 su 32).
A fronte di questi dati, i campioni di colore sono stati oggetto di forti critiche per aver espresso opinioni politiche, come nel caso di LeBron James e Colin Kapernick. Quest’ultimo – ex quarterback dei San Francisco 49res – è stato pubblicamente attaccato da Trump e radiato a tutti gli effetti dal campionato nel pieno della carriera per essersi inginocchiato durante l’inno nazionale che precede ogni partita in segno di protesta delle violenze razziste della polizia. Questo mentre vengono lodate le genuflessioni Tim Tebow, evangelico conservatore, (bianco) che usa «raccogliersi in preghiera» dopo ogni punto.
LO SPORT è dunque pienamente coinvolto nelle «culture wars» che polarizzano in questi giorni l’America post-trumpista. E nelle rivendicazioni sempre più precise del movimento anti razzista che in questo caso ha messo in luce pratiche sistemiche che rievocano la pseudoscienza coloniale.
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