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Piovono chiusure sui centri culturali

Piovono chiusure sui centri culturaliIl centro Rialto Santambrogio a Roma – Eidon

Sfratto alla democrazia Dopo il 19 luglio 1943, Roma è di nuovo sotto bombardamento. Ma stavolta sono bombe intelligenti – intelligenti al quadrato, che colpiscono selettivamente l’intelligenza della città. In nome della legalità […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 4 marzo 2017

Dopo il 19 luglio 1943, Roma è di nuovo sotto bombardamento. Ma stavolta sono bombe intelligenti – intelligenti al quadrato, che colpiscono selettivamente l’intelligenza della città. In nome della legalità e dell’economia di mercato.

Il bombardamento di sgomberi e chiusure, multe esorbitanti, folli arretrati, concessioni non rinnovate, fa deserto di realtà di lavoro sociale come il Celio Azzurro o il Centro culturale curdo Ararat, esperienze storiche di lavoro culturale come la Scuola di musica di Testaccio, il Circolo Gianni Bosio, la Federazione italiana di musica antica, concessioni non rinnovate, occupazioni storiche, assegnazioni deliberate e mai eseguite, che hanno salvato dal degrado e dalla rovina edifici abbandonati e offerto servizi che le istituzioni non potevano o non volevano dare, centinaia di esperienze, migliaia di persone che sono il sale della democrazia partecipata, dell’intelligenza collettiva, della bellezza sociale di questo paese.

In questo disastro confluiscono due schiaccianti “convergenze parallele”. La prima è il disastro della politica. Da quando la scomparsa di ogni progetto e idealità ha trasformato la politica in pura gestione del potere e spalancato così le porte alla corruzione fino alla tragedia di Mafia capitale, ogni decisione politica è diventata sospetta. Così, gli amministratori anche perbene (ce ne sono molti) non se la sentono di prendersi responsabilità di niente – non possono o non osano dire “questo progetto mi interessa, lo sostengo” oppure “questa associazione è utile alla città, lasciamola lavorare”. Invece – spesso anche per la debolezza politica e culturale e la mancanza di orgoglio di tutto un ceto politico emergente – finiscono per proteggersi dietro procedure puntigliose e regole di gestione falsamente neutrali.

In questi giorni, in ogni “tavolo” di trattative, ci sentiamo ripetere dagli assessori di turno che loro vorrebbero ma “gli uffici” non glielo permetterebbero, i dirigenti non firmerebbero mai. Uffici e dirigenti sono peraltro a loro volta bombardati da pressioni, autentiche minacce che con aggressivo eccesso di zelo provengono – come denuncia una diffida firmata legale da decine di associazioni – da dirigenti locali della Corte dei Conti che brandiscono la spada di Damocle del fatale “danno erariale”. Il risultato è che il governo della città sta nascosto dietro scrivanie invisibili: quella famosa arrogance of office su cui monologava secoli fa il principe Amleto.
La seconda convergenza è l’ideologia di mercato: non è concepibile un uso di un bene di pubblica proprietà che sia diverso da quello di “metterlo a reddito” come se fosse una proprietà privata.

Lasciamo perdere la Costituzione – l’articolo 9, l’articolo 41; ma – come ci ricordava in un’assemblea di questi giorni, il rappresentante dell’Associazione dei vigili urbani in pensione, paradossalmente sfrattato dai vigili urbani in servizio – persino lo statuto della cosiddetta Roma Capitale prevede usi di pubblica utilità sociale e culturale diversi dalla messa sul mercato (altre città hanno provato ad attrezzarsi in modi meno persecutori). Non solo per paura ma anche per ideologia, tutte le pratiche di questi anni e tutte le prospettive sventolate in questi giorni ruotano attorno a bandi e regolamenti che di fatto escludono il volontariato, le idee nuove, tutto quello che non possieda una struttura e una visione del mondo di tipo aziendale.

Tutto questo, infine, si traduce in un’altra faccia del declino della democrazia: lo spostamento del potere dalle sempre più pavide rappresentanze elette e dai cittadini partecipanti a burocrazie esenti dal controllo e portatrici di un’inflessibile ideologia del denaro. In nome di un’astratta legalità che solo occasionalmente coincide con la giustizia, incapaci o non intenzionati a colpire seriamente le violazioni e gli abusi dei potenti e dei ricchi, se la prendono coi deboli.

Nel frattempo, tanti degli spazi “recuperati”, lungi dal produrre il millantato reddito, verranno restituiti all’abbandono e al degrado in cui si trovavano prima che il volontariato e la passione li salvassero e li rendessero utili. Anche questo è un danno – culturale e anche “erariale”. Ma la legalità è salva.

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