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Pillola abortiva, la Corte suprema la lascia in commercio. Ma solo per ora

Pillola abortiva, la Corte suprema la lascia in commercio. Ma solo per ora

Stati uniti Il caso tornerà presto davanti ai giudici conservatori

Pubblicato più di un anno faEdizione del 23 aprile 2023

La Corte suprema ha accolto il ricorso presentato dall’amministrazione Biden e dall’azienda che produce la pillola abortiva mifepristone e ha stabilito che, per ora, il farmaco resterà disponibile. L’ordine, arrivato nel tardo pomeriggio di venerdì, interrompe sia l’applicazione della sentenza del giudice conservatore del Texas, Matthew Kacsmaryk, che imponeva la revoca dell’approvazione federale alla pillola abortiva (di fatto vietandola ovunque) che le più lievi limitazioni al suo commercio imposte dalla Corte d’Appello del quinto Circuito di New Orleans.

La decisione è passata con un voto 7-2: ad opporsi, dei sei giudici conservatori che compongono la maggioranza, sono stati Samuel Alito (autore della sentenza che ha abrogato il diritto all’aborto) e Clarence Thomas (al centro dello scandalo dei generosi regali ricevuti da un miliardario conservatore e mai dichiarati).
Una buona notizia, ma non significa che la questione sia definitivamente chiusa: la Corte doveva esprimersi solo sull’entrata in vigore del divieto e non sui suoi contenuti, che sono ancora al vaglio di tribunali di rango inferiore. Il 17 maggio il caso tornerà infatti ad essere esaminato dalla Corte d’Appello del quinto circuito e, qualunque sia il suo pronunciamento, è logico aspettarsi che fra qualche mese si tornerà alla Corte suprema per una sentenza definitiva.

Uno dei punti che si dovrà stabilire è l’indipendenza della Food and Drugs Administration, Fda, e la sua autorità nell’approvazione e regolamentazione dei medicinali. La causa intentata contro l’agenzia federale dalla cordata di associazioni mediche antiabortiste sostiene che 23 anni fa la Fda ha autorizzato l’uso del mifepristone senza fare controlli adeguati e che il medicinale è pericoloso, benché sia stato ampiamente dimostrato il contrario. La loro vittoria non rappresenterebbe solo un altro colpo letale ai diritti delle donne, ma anche un precedente pericoloso in campo sanitario: in un’era in cui le decisioni di ambito medico sono un terreno minato, aprire le porte alla possibilità di mettere al bando un medicinale perché dei gruppi mossi da motivazioni politiche sia pericoloso, apre le porte a un prevedibile ginepraio.

Il pericolo, però, non arriva solo dai pareri antiscientifici. La causa contro il mifepristone cita anche una legge federale del 1873, il Comstock Act, che proibiva l’invio via posta di oggetti «osceni», tra cui contraccettivi, strumenti per abortire e anche gli opuscoli a tema. La legge era sostenuta da un attivista religioso della New York Society for the Suppression of Vice, Anthony Comstock, secondo il quale gli Usa dopo la guerra civile erano troppo ossessionati dal sesso. Dopo la guerra Comstock dedicò il resto della sua vita, anche nella posizione di ispettore del servizio postale degli Stati uniti, a ciò che definiva «la purificazione del giardino di Dio». Si è battuto contro il voto alle donne, ha fatto arrestare femministe, venditori di giochi sessuali, predicatori dell’amore libero, ha girato college e chiese tenendo discorsi destinati a portare il pubblico alla frenesia censoria. Un farmacista di New York si è suicidato dopo essere stato arrestato da Comstock, che si era presentato come un marito in cerca di pillole anticoncezionali.

Dopo la guerra civile l’aborto era pesantemente sotto attacco: si trattava di un momento in cui la comunità medica maschile era impegnata a codificare la professione, e a decidere a cosa non essere associata – principalmente al lavoro delle levatrici, e quindi anche all’aborto.
Il Comstock Act è formalmente ancora valido, ma il Congresso e i tribunali ne hanno smussato i tratti più duri, e soprattutto non viene applicata da un secolo. Negli anni ’70 inoltre il Congresso ha emendato la legge consentire l’invio di anticoncezionali via posta.

Secondo Kacsmaryk (che nella sua sentenza parla di diritti delle «persone non nate»), però, se la legge dice che non si può spedire nulla che abbia a che fare con l’aborto, allora il mifepristone non può essere spedito, e se anche la Fda l’avesse approvato correttamente, è comunque illegale spedirlo per posta.

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