Se il fascismo sia nato dall’indifferenza nei confronti della violenza ideologizzata e organizzata è questione da riprendere con più ampio supporto storiografico, ma che gli stati di polizia prevedano una presenza pervasiva delle forze dell’ordine è un dato di fatto. Mentre il fiume carsico della condanna dei rigurgiti del primo ogni tanto si affaccia, la documentazione del consolidamento del secondo, come la critica alla pervasività penale o alla militarizzazione del controllo del territorio continua a non far parte del dibattito pubblico o politico.

Qualche settimana fa, nell’inaugurare l’anno giudiziario, il Primo Presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio aveva sottolineato con particolare enfasi che, salvo che per i 102 femminicidi, un terzo degli omicidi volontari in Italia, e le morti sul lavoro, 1090 di cui 790 in situ e 300 in itinere (altro che Qatar!) in Italia il crimine è ai minimi storici. Un contesto socio-culturale invidiabile che sarebbe da cogliere per avviare depenalizzazioni e decarcerizzazioni. E invece…

E invece, piuttosto che interrogarsi sul perché di questa decrescita (potenzialmente felice), si torna a riaffermare la imprescindibile necessità dell’approccio «legge e ordine» insistendo coi soliti allarmi. Il rientro in pista in grande stile della tolleranza zero è avvenuto a metà febbraio al Canapa Mundi di Roma ma il culmine è stato toccato il 1 marzo in provincia di Enna in occasione di un dibattito in una scuola superiore. In entrambi i casi il pericolo pubblico numero uno contro cui mobilitarsi era la cannabis.

A Roma decine di agenti in divisa hanno perquisito gli stand, in Sicilia l’intrusione è avvenuta in borghese per identificare i presenti – l’incontro organizzato dall’associazione Meglio Legale era online. Se nel primo caso si voleva porre in cattiva luce un appuntamento economico, nel secondo si è lanciata una chiara minaccia di attenzionamento nei confronti di chi vuole documentarsi su un tema tanto popolare quanto escluso dal dibattito mediatico o dagli approfondimenti politico-istituzionali.

In un’ipotetica scala di gravità della presenza di personale in divisa in momenti debitamente autorizzati dagli enti competenti, l’assemblea scolastica di Piazza Armerina rappresenta il culmine di un abuso di potere, una volontà di potenza messa in campo per controllare adolescenti che vogliono terminare la scuola dell’obbligo con qualche informazione in più rispetto ai programmi scolastici. Organizzare un dibattito per valutare l’impatto di una legge che in 30 anni ha dimostrato di non governare il fenomeno per cui era stata adottata dovrebbe essere un obbligo didattico piuttosto che un’occasione da contrastare con l’identificazione di chi partecipa in silenziosa attenzione. L’intimidazione è la peggiore nemica dell’educazione.

In Italia ci sono quattro corpi di polizia, un paio ancora militari, che occupano circa 310.000 persone. Con 453 unità ogni 100.000 abitanti abbiamo uno tra i più alti rapporti forze dell’ordine popolazione d’Europa: ottavo su 35. Da anni è attivo un progetto del Ministero dell’Interno che si chiama «Scuole Sicure», per il biennio 2022/23 sono stati stanziati 5,5 milioni di euro per aumentare i controlli ambientali dei plessi scolastici e scongiurare la detenzione di stupefacenti con i “cani-antidroga”. Annualmente l’operazione impiega oltre 26.000 agenti per controllare circa 600 istituti. Poche decine gli arresti, mentre i sequestri di “droghe” sono pari allo 0,005% del totale. Una distrazione di fondi al limite del danno erariale che, non portando risultati, adesso attenziona la libertà di parola.