Piantedosi a Tunisi, un buco nell’acqua
Immigrazione Il ministro in missione incontra il presidente Saied e il suo omologo Fekih, niente soldi ma le solite motovedette e addestramento
Immigrazione Il ministro in missione incontra il presidente Saied e il suo omologo Fekih, niente soldi ma le solite motovedette e addestramento
Annunciata da tempo, nella giornata di ieri si è concretizzata la visita del ministro degli Interni Matteo Piantedosi per discutere con le autorità tunisine delle partenze dalla sponda sud del Mediterraneo e di possibili soluzioni materiali a un fenomeno che da mesi è all’ordine del giorno per le istituzioni europee.
Piantedosi ha parlato con il suo omologo Kamel Fekih in un bilaterale e ha incontrato anche il presidente della Repubblica Kais Saied. Al centro delle attenzioni i crescenti numeri degli arrivi dalla Tunisia e nuove possibili forme di finanziamento alla Guardia costiera tunisina in materia di controllo delle frontiere. Argomenti nuovi solo all’apparenza: da inizio anno sono state numerose le visite e i colloqui telefonici tra Roma, Bruxelles e Tunisi. L’ultimo in ordine di tempo da parte del Viminale è avvenuto meno di due mesi fa, mentre sono appena passate poco più di due settimane dalla visita di Ylva Johansson, commissaria europea per gli Affari interni. A inizio maggio invece è stato il turno del ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale ha promesso 10 milioni di euro per assistere la Tunisia «nella gestione di un fenomeno che vede i nostri paesi uniti nel combattere le reti di trafficanti di esseri umani».
Un concetto ribadito dallo stesso Piantedosi il quale ha espresso al suo omologo «il pieno apprezzamento per il rilevante sforzo compiuto dalla Tunisia per sorvegliare le frontiere marittime e terrestri, per contrastare le reti di trafficanti e confiscare le loro imbarcazioni, per soccorrere in mare i migranti e riportarli sulla terraferma prestando loro assistenza».
IL MINISTRO è poi ripartito alla volta di Roma promettendo il sostegno dell’Italia attraverso piani di assistenza tecnica e forniture.
Le sue dichiarazioni si inseriscono all’interno di un momento storico particolarmente fragile per la Tunisia. Da inizio anno più di 42mila persone hanno percorso la rotta centrale del mare. Secondo i dati del Viminale visionati da Agenzia Nova, a inizio maggio gli arrivi dalla Tunisia sono stati 24.383, oltre il mille per cento in più rispetto al 2022, poco meno di 20mila i migranti intercettati e 498 le persone morte o scomparse. Numeri in netto aumento che si spiegano parzialmente con il discorso razzista e xenofobo del 21 febbraio scorso da parte del presidente Kais Saied contro la comunità subsahariana presente nel paese: «Esiste un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia, ci sono alcuni individui che hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare la residenza ai migranti subsahariani. La loro presenza è fonte di violenza, crimini e atti inaccettabili, è il momento di mettere la parola fine a tutto questo». Non è un caso che siano stati soprattutto cittadini di Costa D’Avorio e Guinea ad attraversare il Mediterraneo in direzione Lampedusa.
In una situazione già molto precaria, il contesto nazionale rischia di aggravare il quadro generale. La Tunisia sta vivendo una delle crisi economiche più gravi degli ultimi decenni e il rischio default è un concetto che viene ripetuto in maniera sempre più forte da diversi analisti. Un campanello d’allarme per l’Unione europea e, in particolare, l’Italia. Saied ha già ribadito più di una volta di non volere ricorrere alle misure stringenti del Fondo monetario internazionale per sbloccare un prestito da 1,9 miliardi di dollari. Tuttavia, senza questo accordo il rischio è di vedere sfumare possibili nuove macro intese con Bruxelles e altri attori internazionali di primo piano, Stati uniti in primis.
I PROBLEMI non finiscono qui. Il presidente della Repubblica da settimane è sotto la lente di diverse organizzazioni della società civile e di alcuni suoi alleati oltre confine per la campagna di arresti che da alcune settimane sta interessando diverse personalità di primo piano, tra cui il leader del partito di ispirazione islamica Rached Ghannouchi. Dal carcere ha voluto parlare Noureddine Boutar, il direttore della radio più importante del paese Mosaiquefm, arrestato il 20 febbraio scorso: «Il mio procedimento è al centro della libertà di stampa. Ho una linea editoriale indipendente di cui assumo la piena responsabilità». Un dossier che, se accompagnato all’attentato di una settimana fa compiuto da un agente di sicurezza nell’isola di Djerba che ha causato la morte di sei persone per motivi ancora da chiarire (almeno secondo il ministero dell’Interno), mostra in questo momento tutte le fragilità del sistema Tunisia.
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