Quando il 15 gennaio del 1990 il requiem della Repubblica democratica tedesca fu intonato dai berlinesi inferociti sotto la sede del Ministerium für Staatssicherheit, comunemente conosciuto come Stasi, pochi sapevano che la potente polizia segreta della Germania Est, simbolo della dittatura, nascondesse un ufficio dedicato a istruire le sue spie all’arte dei versi, per combattere con armi improprie l’odiato capitalismo. Proprio questo avvenne per diversi decenni accentuandosi a partire dal 1982 quando, di fronte alla corsa agli armamenti da parte di Ronald Reagan, che munì gli Stati Uniti di uno spaventoso arsenale bellico, il gioiello della Corona del Blocco sovietico, la Ddr, ricorse alle armi della critica.

Quasi inverosimile
Philip Oltermann, racconta questa storia, che ha dell’inverosimile, in un saggio titolato Il circolo di poesia della Stasi Una strana storia di spie e sonetti nel pieno della guerra fredda, (traduzione di Teresa Ciuffoletti, Utet, 2022, pp. 266, € 18,00): attraverso fonti orali e materiale rinvenuto negli archivi della Stasi, ricostruisce la bizzarra e tragicomica avventura della commissione istituita nella Germania Est per contribuire a vincere la sfida con l’Occidente attraverso la poesia.

L’impresa porta con sé un grado di ironia involontaria: la più temuta polizia segreta d’Europa, fornita di uomini spregiudicati e mezzi potenti, crea un laboratorio tenuto da veri poeti«professionisti» e frequentato da civili e militari, dove insegnare ai propri uomini la raffinatezza del comporre in versi, la più eterea delle discipline.

La peculiarità di questo atelier letterario era la partecipazione dei funzionari alla stesura di testi elegiaci che poi venivano letti e commentati dal gruppo di discepoli guidati e incoraggiati da Uwe Berger, modesto poeta e tuttavia tra i più noti e acclamati della Ddr con stretti legami con le istituzioni culturali, malgrado non iscritto al Partito socialista unificato, il partito unico della Germania orientale.

Situato nel complesso di Adlershof, un luogo così segreto da non figurare sulla cartina di Berlino Est, una volta ogni quattro settimane, alle 16 in punto, il laboratorio si riuniva per due ore nella stanza al primo piano della Kulturhaus declamando e commentando versi dei grandi classici così come quelli redatti da quei bardi improvvisati. Pare che i giovani soldati preferissero le liriche romantiche a quelle politiche («caporale d’amore» si definiva uno di loro), e questa loro inclinazione veniva tollerata per quanto contraria allo spirito di classe.

C’erano tuttavia casi in cui – per esempio di fronte alla sfrontatezza di questi versi: «Ti voglio / per me / tutta per me / e mi auguro che tu / non mi venga mai espropriata», lo spirito del collettivismo socialista rischiava di rivelarsi inconciliabile con le esigenze degli amorosi sensi. Infatti, Berger, l’asceta senza tessera del partito, non esitò a denunciare colleghi e discepoli per attività (poetiche) decadenti e controrivoluzionarie.

Poeti perseguiti
Gli scrittori venivano promossi e sostenuti dallo stato in modo che la poesia potesse suscitare emozioni e fomentare la lotta di classe: l’utopia socialista aveva bisogno di versi. Naturalmente, per quanto incoraggiati a collaborare alla realizzazione del socialismo, i poeti venivano controllati, censurati e in alcuni casi imprigionati per essersi resi responsabili di operazioni sovversive, o di attività considerate antisocialiste come l’alcolismo, la pratica dell’omosessualità e anche l’eccessiva libertà sessuale.

Si pensa spesso alla storia della Ddr a cominciare dal suo crepuscolo – scaffali vuoti nei supermercati, masse smarrite e dai volti cinerei a fronte del mito libertario del mondo occidentale; Oltermann, giornalista del «Guardian», ci sollecita invece a rileggere la storia della Germania orientale a partire da quella sconfitta della barbarie nazista alla quale autori antifascisti come Johannes R. Becher, poeta bavarese, o Friedrich Wolf, ebreo pacifista e poi ardente bolscevico, avevano contribuito. Una generazione di scrittori, cresciuta all’ombra del disprezzo nazista per gli intellettuali, avrebbe dunque partecipato alla costruzione di una società di uguali basata sulla riscossa della Kultur tedesca. Sotto le macerie dei bombardamenti si trovano le braci della missione poetica della Germania che, secondo una lettura un po’ ingenua dei «sacri testi» marxiani, intendeva superare attraverso il socialismo, la distinzione tra lavoro manuale e professione intellettuale. L’autore traccia con prosa serrata l’affresco storico di un mondo che, sebbene ora sappiamo fosse sull’orlo della fine, viveva la sua quotidianità in maniera pressoché immobile.

Paranoia del complotto
Certo la Stasi operava nell’ossessione del complotto da parte di nemici interni e esterni e la sua paranoia si accentuò negli anni Ottanta quando il controllo sulle «vite degli altri» assunse tratti totalitari: tra il 1950 e il 1989 i servizi segreti tedeschi orientali godettero di più di 620 mila informatori, definiti eufemisticamente Inoffizielle Mitarbeiter, «collaboratori non ufficiali».

Paranoia non assente del resto, durante la guerra fredda, nei servizi segreti occidentali i quali agivano sia controllando capillarmente artisti e scrittori per le loro presunte simpatie di sinistra sia finanziando correnti culturali anticomuniste. Emblematico il sostegno della Cia a (un ignaro) Jackson Pollock che spinse i membri del Congresso a studiare storia dell’arte per esportare l’action painting in Europa.
Nella sfida per l’egemonia mondiale nessun mezzo era escluso, comprese metafore, terzine, pentametri giambici shakespeariani e sonetti petrarcheschi.