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Periferia Mirafiori

Periferia MirafioriUno scorcio del quartiere Mirafiori di Torino

Lavoro e Città Il quartiere di Torino famoso per la Fiat ha perso centralità esattamente come la fabbrica. La sua evoluzione si è progressivamente trascinata verso la precarietà esistenziale di chi ci abita

Pubblicato più di un anno faEdizione del 29 marzo 2023

Le storie di Mirafiori sono «percorsi di spazi», itinerari di frasi, mappe di parole per orientarsi nella geografia del quotidiano. Per questo mentre i luoghi raccontano le storie nella maniera più giusta, le storie dei media, riproponendo i luoghi sotto la specie narrativa, li mitizzano, inserendoli nella topografia dell’immaginario. Qui invece tutto è reale.

Il quartiere Mirafiori nato attorno alla fabbrica Fiat negli anni Cinquanta

GLI ANNI ’80 ERANO FATTI di cassette lasciate in via Biscaretti per vedere cosa succedeva alle macchine quando ci passavano sopra, era fatti di buste d’acqua buttate dai palazzi nei cortili e sopra i garage per sentire il rumore e più era grande il botto meglio era. Negli anni ’80 c’erano macchine che venivano a cercare droga da Milano, erano anni in cui nelle cantine c’era gente che nascondeva pistole, un giorno un tizio si accorse di essere osservato e si mise a rincorrerci fin davanti alla porta di casa. Spesso a scuola non si poteva andare perché c’erano i posti di blocco dei lavoratori, i fuochi e i picchetti che non facevano passare nessuno. Negli anni ’80 nei vialetti non bisognava passare perché c’erano i ragazzi che si bucavano e tutte le aiuole erano piene di siringhe: Mirafiori è pericolosa hai paura. Eppure negli anni ‘80 Mirafiori è bella. Mirafiori è città e ti senti importante quando vai in vacanza perché tu vieni da Torino. A Mirafiori hai tanti amici però qualcuno ti prende in giro e ci sono dei giorni in cui hai paura di uscire perché sotto ti aspettano: loro gridano, fanno a botte, si sporcano di sangue. Tuo papà è forte, tuo papà ti difende è lui che si fa sentire con quelli del primo piano e loro non ti dicono più niente (anche se tu hai talmente paura di loro che non ne vuoi neanche parlare). Tuo papà è forte lui dirige cantieri e lì ci sono tante persone dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Campania con cui bisogna essere diretti, farsi sentire altrimenti le persone ti prevaricano, tuo papà è forte.

NEGLI ANNI ’90 NON C’È LAVORO, la gente soffre. Moltissimi iniziano a vivere nella precarietà permanente tra il lavoro e il nonlavoro, in una nebulosa di situazioni instabili che stanno sopra la miseria, ma sotto la serenità. L’eroina sparisce e arrivano le pastiglie, i giovani si ritrovano in gruppi sempre più numerosi, bande, che si riversano al Naxos di piazza Guala e all’Ultimo Impero di Airasca cantando «sale, sale e non fa male». Chi ha studiato, i figli degli operai, crede di essere pioniere di una middle class periferica mentre la vita dei padri oscilla tra cassaintegrazione, disoccupazione, disperazione. In loro c’è il senso di colpa, l’idea di essere sbagliati, fermi mentre gli altri corrono. Prevale la rassegnazione, le giornate si susseguono una uguale all’altra e lentamente e progressivamente diventano sofferenza psicologica perché smettono di avere una “ragione” per alzarsi al mattino e qualche soddisfazione alla sera che gli dice «oggi hai pur fatto qualcosa». Non ci sono più proteste, né botte, né grida perché ognuno si sente responsabile della sua condizione.

IL 2000 È MODERNO e imperniato di individualismo, razionalità strumentale, impotenza politica. La disoccupazione ha prodotto una situazione di invecchiamento, una senilità precoce, feroce, interiore. Oltre al lavoro si è smarrito il senso. La gente inizia a vivere solo dei cinque sensi, non c’è altro, non c’è oltre. Alla perdita del lavoro e del senso di comunità, si aggiunge la perdita del senso della vita, per questo Mirafiori è diventata una periferia esistenziale. La vita è insopportabile non per l’assenza delle cose, ma per l’assenza di destino e di senso.

Le famiglie operaie si sono trasformate, domina la solitudine: un aggregato di persone che potrà tornare a essere comunità solo se tornerà a esserci qualcuno che ti chiama compagno

Gli anni 2000 sono senza figli, il quartiere perde abitanti, nelle grandi case abitano una o due persone. Il tessuto connettivo diventa sempre più poroso e friabile, il lavoro non crea più legami e si vive appartati e soli: evitarsi è il nuovo istinto in questo luogo dove, come ha scritto Luigi Zoia, si vive il tempo della morte del prossimo. La fame di relazioni si fa profonda, e come la fame da cibo quando perdura nel tempo non si può più riprendere a mangiare, occorrono acqua e zucchero per giorni prima di arrivare ai cibi solidi. La fame a Mirafiori è atavica, lontana nel tempo e ha prodotto aridità fino alle radici: non basta più riprendere a guardarsi, salutarsi, parlarsi, abbracciarsi. La tecnologia rende obsoleti gli adulti che non possono più fare da “maestri” ai giovani, non possono indicare strade da percorrere che essi hanno già solcato: non ci sono vie maestre, né gradi narrazioni da seguire (religiose, politiche, sociali), non si può assecondare la corrente. I percorsi diventano individuale e attraversano territori inesplorati: non ci sono mappe (le precedenti generazioni non ti possono aiutare). Le famiglie si sfaldano e il mondo del lavoro non facilita e non si concilia con la maternità e l’accudimento. Salari bassi, precarietà permanente, timing frenetico, solitudine e sterilità delle relazioni costituiscono lo sfondo di un ecosistema sfavorevole alla natalità e allo stare insieme. Qualcosa che riguarda tutti, non un fenomeno che riguarda coppie affrettate, genitori borderline e situazioni di disagio, ma attacca al cuore i giovani e le famiglie più belle, specchiate, aperte, solidali. Un virus che non guarda in faccia a nessuno e rispetto al quale non sembrano esserci più anticorpi. Chi in qualche modo riesce a fare il salto della genitorialità trova ostacoli formidabili nel mondo del lavoro, nei servizi (assenti) e più che reggere si trascina. La felicità non è più cumulativa, ma procede per sottrazione, come in un gioco a somma zero: quella che prendi per te è tolta agli altri: Mirafiori diventa una moltitudine di solitudini.

SI CERCA UN SURROGATO e arrivano gli animali da compagnia. Gli animali domestici crescono in modo impetuoso e non si sa se siano venute prima l’individualismo e la solitudine o il cane, fatto sta che il connubio televisione, solitudine, cane crea nuovi nuclei sociali apparentemente autoreferenziali. Un fenomeno trasversale che coinvolge tutte le fasce di età e tutte le tipologie famigliari, ma quella che colpisce di più è costituita da coppie giovani che gli inglesi chiamano dink, double incoms no kids, due stipendi e nessun bambino. Crescono anche le famiglie con un figlio dove per fargli compagnia dopo i tre anni gli viene comprato il cane. Eppure c’è chi sostiene: «meno male che ci sono i cani, i gatti e la televisione altrimenti questa condizione di solitudine sarebbe ancora più pesante». Le giornate seguono il ritmo del sonno, stanchezza, sonno. Desiderio di dormire versus frustrazione per non aver fatto nulla: aver passato una giornata senza un sorriso, un abbraccio, un pianto, una parola. Nessun uomo è un’isola, ma la periferia ti isola. Mirafiori si trasforma così in un aggregato di persone potrà tornare ad essere quartiere/comunità solo se tornerà ad esserci qualcuno che ti chiama compagno o fratello.

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