Perché è sbagliato il paragone con la Resistenza
Guerra ucraina Quando gli alleati fornivano armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania; non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare di meno la guerra
Guerra ucraina Quando gli alleati fornivano armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania; non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare di meno la guerra
Ho letto l’articolo di Luigi Manconi sulla moralità della resistenza in Ucraina e sulla giustezza di mandare armi. Non sono d’accordo (con Manconi non mi capita quasi mai) ma riconosco le ragioni e la serietà e ci penso. Vorrei che anche chi è d’accordo riconoscesse e rispettasse le mie, che non riguardano certo la moralità della resistenza – in Ucraina come in Italia o in Kurdistan – ma la difficoltà di un paragone storico fra tempi e contesti molto diversi. Forse anche per questo l’Anpi, che di Resistenza qualcosa sa, la pensa diversamente.
Quando gli alleati fornivano armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania; non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare di meno la guerra.
Quindi il paragone regge solo se:
- pensiamo di essere già in guerra con la Russia;
- pensiamo di vincerla militarmente;
- pensiamo che l’invio di armi abbrevierà il conflitto anziché prolungarlo, incaricando gli ucraini di fare la guerra con le nostre armi per nostro conto.
Ho nominato il Kurdistan. Non credo che ci fossero dubbi sulla moralità della resistenza nel Rojava. Però non solo non gli abbiamo mandato armi, ma mentre paragoniamo chi si arruola per combattere col battaglione Azov alle Brigate Internazionali di Spagna, gli italiani che sono andati a combattere nel Rojava li teniamo sotto sorveglianza di polizia perché possibili minacce all’ordine pubblico. È vero che il Rojava non stava «nel cuore dell’Europa»: stava in Turchia, paese nostro alleato, nel cuore della Nato, portatore dei nostri valori occidentali.
Manconi non lo dice e non credo che lo pensi, ma metterla in termini di moralità rischia di bollare come immorale chi la pensa in altro modo.
Abbiamo troppo interiorizzato una mentalità antagonistica e non dialogica: sì green pass o no green pass, o servi di Putin o servi della Nato, o di qua o di là e chi sta di là è un nemico immorale.
Siamo tutti convinti che l’aggressione deve finire e si deve raggiungere un compromesso. Discutiamo e litighiamo fra noi sui mezzi per arrivarci ma non dimentichiamo ciò che unisce e rende possibile parlarsi. E ascoltarsi.
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