La strada che collega la città di Betlemme alle porte di Gerico è un percorso ad ostacoli, tra colonie che divelgono le valli, posti di blocco e filo spinato. D’altronde la frammentazione dell’unità territoriale è uno degli strumenti favoriti dell’occupazione: è veloce ed economica. Qui, israeliani e palestinesi si sono dati appuntamento per la prima manifestazione congiunta nella Cisgiordania occupata dall’inizio della guerra a Gaza. «Chiediamo la fine dell’occupazione militare e una soluzione politica immediata per tutti gli abitanti che vivono dal fiume Giordano al mare», dichiara Jamil Quassas, 53 anni, attivista palestinese del campo profughi di Dheisheh e tra gli organizzatori della manifestazione. «Le persone hanno paura di prendere parte in qualsiasi azione politica. Ieri sera l’esercito israeliano ha fatto irruzione a casa di Karim (nome di fantasia, ndr) a Ramallah interrogandolo per ore, volevano sapere dove si sarebbe svolta la manifestazione, dopodiché gli hanno vietato di presentarsi qui oggi».

LO STESSO è accaduto ad uno degli organizzatori israeliani, «ma sono i palestinesi a subire le ripercussioni più violente, soprattutto quando si tratta di azioni politiche – specifica Jamil – per noi potrebbe significare mesi di prigione». La manifestazione è stata promossa da storiche sigle israeliane e palestinesi che lavorano insieme per la fine dell’occupazione militare e del regime di apartheid. Ad aprire le fila sono Combatants for Peace, l’organizzazione di ex combattenti israeliani e palestinesi, e Mesravot, l’associazione dei giovanissimi israeliani obiettori di coscienza che rifiutano di prestare servizio nell’esercito. Nel messaggio che accompagna l’invito a partecipare alla manifestazione si legge «vogliamo il tutto per tutto: ostaggi israeliani in cambio di prigionieri politici palestinesi, la fine della guerra a Gaza e dell’occupazione, una soluzione politica, giustizia e libertà per israeliani e palestinesi». «Abbiamo usato il passaparola e scelto di non pubblicizzarla sui nostri canali ufficiali per garantire per quanto possibile la sicurezza di tutti» dice Yeheli Cialic, 24 anni, attivista israeliano e coordinatore di Mesravot. Dal 7 ottobre infatti la persecuzione politica contro i palestinesi, così come nei confronti di alcuni ebrei israeliani che si oppongono alle politiche di Tel Aviv ha raggiunto picchi drammatici. Adalah, il centro legale palestinese per i diritti umani con base a Haifa, ha presentato diverse petizioni alla Corte Suprema, per contrastare il clima di repressione e i divieti imposti della polizia, ma «appare evidente che la violenza dipende dall’identità politica delle persone e dagli slogan, infatti i manifestanti che stanno bloccando gli aiuti umanitari al confine di Gaza rimangono impunti, è una vergogna», aggiunge Yeheli.

NONOSTANTE il clima di repressione, la manifestazione ha visto la partecipazione di oltre 500 persone, tra cui anche alcuni dei famigliari delle vittime di parte palestinese e israeliana. L’esercito e la polizia israeliana non hanno tardato ad arrivare: hanno arrestato due attivisti, rilasciati poco dopo, picchiato diversi manifestanti e sequestrato cartelli e megafoni. Coloni israeliani, protetti dall’esercito, hanno minacciato i presenti all’urlo «Vergogna, vergogna». «Chiedere il cessate il fuoco è considerato nel migliore dei casi incitamento all’odio. Siamo stanchi. Insieme ai nostri partner palestinesi siamo consapevoli che l’unica via possibile per un futuro dignitoso e giusto per tutti è il raggiungimento di un accordo politico che comporti lo smantellamento del regime di apartheid, e per fare questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutta la comunità internazionale» conclude Yeheli. «Nonostante i tempi bui, l’azione di oggi ci dimostra che è possibile lottare insieme contro un sistema coloniale. Lo facciamo per tutte le madri, israeliane e palestinesi, che hanno perso i loro figli, per i bambini e le bambine che hanno il diritto ad un futuro gioioso, per gli uomini che abitano questa terra, meritiamo tutti di avere un’alternativa diversa dalla distruzione reciproca delle nostre comunità e di vivere in pace e sicurezza. Da Gaza a Jaffa, libertà per tutti». È la voce di Mai Shaheen, 35 anni, attivista palestinese di Gerusalemme, che scioglie la manifestazione in un grido di dolore e speranza tra abbracci, applausi e commozione collettiva.