La premier Giorgia Meloni è da oggi in visita ufficiale in Etiopia per rafforzare i rapporti di cooperazione tra i due Paesi. Il viaggio avviene a soli due mesi dai colloqui di Roma con il primo ministro etiope Abiy Ahmed che aveva portato ad accordi per complessivi 180 milioni di euro in diversi settori nell’ambito dell’Ethiopian Italian Cooperation Framework 2023-2025, programma che sarà attuato attraverso programmi bilaterali (prestiti e sovvenzioni) e multilaterali (sovvenzioni).

Un «partenariato paritario» aveva detto Meloni che aveva sintetizzato con la formula di un «piano Mattei per l’Africa, un atteggiamento dell’Italia e dell’Europa non predatorio, ma collaborativo e rispettoso dei reciproci interessi» (per il momento più un titolo che un fatto). Sottolinenando che «sul settore della difesa ci piacerebbe lavorare a una cooperazione maggiore» (l’accordo di cooperazione nel settore degli armamenti con l’Etiopia era stato sospeso durante il recente conflitto nel Tigray).

UN PO’ IN CONTRADDIZIONE con l’idea di Mattei che si basava su programmi di collaborazione tecnico-economica come alternativa allo sfruttamento coloniale e alla vendita di armi. «E con la formula Mattei – come scrive la storica Eleonora Belloni . per la prima volta c’era al centro dell’interesse non l’Occidente, ma il Terzo Mondo, che l’antifascismo privava delle sue connotazioni espansionistiche e che si traduceva in un convinto appoggio al diritto di ogni popolo di perseguire il proprio riscatto politico, economico e sociale, anche attraverso l’affermazione della sovranità sulle proprie risorse naturali. L’anticolonialismo, dunque, come fine e insieme strumento della strategia aziendale di Enrico Mattei». Il quale tra l’altro durante era stato partigiano.

LA VISITA AVVIENE in un momento critico per il Paese. Archiviato il conflitto nella regione del Tigray la ricerca di una nuova stabilità è stata interrotta lo scorso 6 aprile dalle violenze scoppiate nello Stato di Amhara a seguito della decisione del governo federale di integrare le forze di difesa locali nella polizia e nell’esercito nazionale (l’ordine si applica a tutte le 11 regioni dell’Etiopia, che hanno i propri eserciti regionali, ma è stato accolto particolarmente male in Amhara).

C’è il timore di rendere la regione di Amhara «vulnerabile agli attacchi di altre regioni» secondo fonti locali. Si teme che la decisione del governo federale impedirà alla regione di avere capacità di resistenza armata di fronte a eventuali minacce future (in particolare da parte di milizie dell’Oromia e del Tigray): su tutto c’è il timore che le forze tigrine non si siano completamente disarmate, nonostante l’accordo di pace lo richieda.

PER QUESTO DA UNA SETTIMANA sono in atto proteste in diverse località della regione. Nel capoluogo Bahir Dar si sono sentiti spari per tutta la notte, mentre a Kombolcha i manifestanti hanno persino attaccato un campo militare dell’esercito federale, sembra in seguito al tentativo di arresto di membri dell’esercito regionale da parte dell’esercito federale.

Il generale Abebaw Tadesse, vice capo di stato maggiore delle forze di difesa nazionali etiopi ha affermato che sciogliere le forze speciali regionali non vuol dire «né disarmarle, né smantellarle, si tratta di riorganizzare e riformare queste forze, riportarle in un ordine costituzionale e riarmarle con armi diverse. Il problema – , ha proseguito il generale – è che le forze speciali sono organizzate secondo linee di identità etnica». Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha promesso di portare avanti il suo piano anche se «si dovesse pagare un prezzo».

Fatto sta che nella capitale Addis Abeba negli ultimi giorni si sono intensificati gli arresti di giornalisti, commentatori e organizzatori di comunità legati alla regione ribelle.

PER LA CRESCENTE INSICUREZZA il Programma alimentare mondiale delle Nazioni unite ha dichiarato di aver sospeso le consegne di cibo ad Amhara, dove milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari. E dove due operatori umanitari del Catholic Relief Services sono stati uccisi lo scorso 9 aprile a colpi di arma da fuoco nella città di Kobo vicino al confine con il Tigray.

Nel corso della visita di Giorgia Meloni è previsto un incontro anche con il presidente della Somalia Hassan Shiekh Mohamud, per stipulare un accordo tripartito che punta a «rafforzare la sicurezza nel territorio somalo». Anche qui, armi.