«Ci aspettiamo da questo incontro trasparenza, ma soprattutto verità, perché in questi anni proprio questa ultima è mancata, mentre invece continuano a susseguirsi negli stabilimenti di Taranto e Genova fatti gravi che minacciano la sicurezza dei lavoratori in fabbrica». Prima di varcare il portone di ingresso di palazzo Chigi insieme a Michele De Palma della Fiom Cgil e Roberto Benaglia della Fim Cisl, il segretario nazionale dei metalmeccanici della Uil, Rocco Palombella, affida al manifesto parole di speranza nella risoluzione della crisi che attanaglia l’ex Ilva di Taranto.

QUANDO PERÒ, dopo l’incontro con i capi di gabinetto della presidenza del consiglio e dei ministeri del lavoro, delle imprese e del made in Italy e della coesione territoriale, i leader di Fiom, Fim e Uilm fanno capolino con i cronisti assiepati in piazza Colonna, le loro facce mostrano preoccupazione e finanche rabbia. «Per la mancanza ancora una volta di un piano industriale – dice Michele De Palma – ma anche occupazionale e ambientale, mentre continuiamo a sentir parlare solo di cassa integrazione».

PER QUESTO, ANNUNCIA il segretario della Fiom, «dato che le armi della mobilitazione e dello sciopero sono gli unici strumenti che i lavoratori hanno per ottenere anche garanzie per la loro salute e sicurezza, nei prossimi giorni proclameremo otto ore di sciopero negli stabilimenti di tutto il gruppo Acciaierie d’Italia». Più morbido, anche se lo sciopero rimane unitario, Roberto Benaglia della Fim Cisl che, da un lato riconosce l’incertezza da parte del governo, dall’altro assicura che sono state garantite dall’esecutivo «alcune cose che ci teniamo molto strette: che non ci sarà fallimento e non ci sarà spegnimento dell’attività». Lapidario Rocco Palombella della Uilm: «L’incontro è andato malissimo anche rispetto alle aspettative che erano minime». E aggiunge: «Oggi abbiamo continuato a chiedere la verità, ma purtroppo non l’abbiamo avuta e la situazione è diventata ancora più complicata. Il governo ha chiesto ai sindacati di aspettare l’assemblea dei soci del 23 novembre per capire se il socio privato, Arcelor Mittal, sarà disposto a mettere il 62 per cento delle risorse, 320 milioni di euro è stato calcolato da AdI, che servirebbero per mandare avanti gli impianti».

Vista dalla prospettiva dei lavoratori, l’impressione è che il governo Meloni stia fuggendo dalle proprie responsabilità. Lo dimostra il fatto che ancora oggi, come qualche settimana fa, nessun ministro ha voluto accogliere i vertici nazionali dei sindacati, liquidando la più grande crisi industriale italiana come una faccenda tecnico-burocratica da risolvere con i capi di gabinetto.

MA NON SOLTANTO. A dimostrarlo plasticamente è anche quello che è avvenuto due giorni fa in Senato, quando la sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento, Matilde Siracusano, è stata mandata dall’esecutivo a rispondere in aula, con evidente imbarazzo, alle diverse questioni poste dall’opposizione che non avevano ottenuto risposta nelle scorse settimane né dal ministro Urso né da Giorgetti, né tantomeno da quello che appare nel governo come il regista dei rapporti con Arcelor Mittal, Raffaele Fitto. In particolare, il senatore del Pd Andrea Martella, illustrando il contenuto di un’interpellanza, ha chiesto lumi sull’esistenza del memorandum che sarebbe stato firmato nei giorni scorsi da Fitto con l’amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia e ArcelorMittal, Lucia Morselli, e che avrebbe come garanzia pubblica «uno stanziamento di oltre 2 miliardi di euro derivanti dal Fondo di sviluppo e di coesione, ma senza alcuna chiarezza sugli impegni finanziari a carico del gruppo Mittal». Il senatore dem ha chiesto anche se il governo intenda rendere pubblici i contenuti di quel memorandum. Non solo. Anche di sapere se «intenda rimuovere il rinvio sine die degli interventi di ambientalizzazione del sito, tenuto conto del giudizio pendente presso la Corte di giustizia europea». La sottosegretaria, da parte sua, dopo aver sostenuto che l’assenza del ministro Fitto era dovuta a un impegno istituzionale improvviso, ha risposto che «il ministero delle imprese e del made in Italy ha già da tempo avviato interlocuzioni con le istituzioni locali e con le organizzazioni sindacali e di categoria per la definizione delle misure e delle azioni necessarie al superamento delle criticità socio-economiche e ambientali dell’ex Ilva di Taranto».

Ieri l’ennesimo nulla di fatto. Nuovo sciopero, dunque, entro il 23 novembre.