Lavoro

Per Di Maio «qualcuno» ha hackerato il Dl Dignità: «Le lobby contro di noi». Il Mef smentisce

Per Di Maio «qualcuno» ha hackerato il Dl Dignità: «Le lobby contro di noi». Il Mef smentisceIl vicepremier, ministro del lavoro e sviluppo Luigi Di Maio – LaPresse

Il caso «Il numero apparso nel decreto per me non è valido. È apparso la notte prima che andasse al Quirinale». Così il vicepremier, ministro del lavoro e sviluppo, ha spiegato la tabella che attesta la perdita di 8 mila contratti a termine all’anno a causa della stretta contenuta nel provvedimento. È «spuntata di notte». Dai 5Stelle accuse alla Ragioneria di Stato e agli uomini di Padoan che respinge le accuse. «Faremo pulizia. Abbiamo bisogno di persone di fiducia, non di vipere». Salvini: «Incursioni? Non faccio il detective»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 15 luglio 2018

La mina del decreto dignità è esplosa nel governo Conte quando il vicepremier Luigi Di Maio, e ministro del lavoro e dello sviluppo, ha denunciato la manomissione del primo provvedimento dell’esecutivo da parte di ignoti che avrebbero inserito nella notte precedente all’invio al Quirinale per la firma di Mattarella il numero 8 mila. Si tratta dei contratti a termine che potrebbero essere «chiusi» ogni anno (3.300 quest’anno) per la stretta sulla durata (da 26 mesi a 24), sulle proroghe (da 5 a 4) e il ripristino della causale dopo 12 mesi.

LA STIMA È CONTENUTA in una tabella nella relazione tecnica allegata al provvedimento che prospetta un totale ipotetico di 80 mila rapporti cessati nei prossimi dieci anni. Si tratta di una stima, verificata sulla base dei dati Inps, dei contratti in scadenza. Il fatto che il particolare sia stato rilanciato su twitter, da Marco Leonardi – tecnico renziano tra gli autori del Jobs Act – e che sia diventato l’arma con cui il Pd ha picchiato duro per 48 ore sul governo ha provocato una reazione disordinata,e politicamente problematica, da parte di Di Maio. Una reazione che ha portato a un grave scontro, e a una smentita, da parte del Ministero dell’Economia guidato da Giovanni Tria.

IN UN VIDEO girato sull’autostrada in direzione Matera, dove ha festeggiato la «fine» dei vitalizi, il vice-premier ha sostenuto che «80mila è un numero che non sta da nessuna parte, mi faccio una risata. C’è un altro numero invece: 8mila. Perché nella relazione c’è scritto che questo Dl farà perdere 8mila posti di lavoro in un anno. Ci tengo a dirvi che quel numero è apparso la notte prima che il Dl venisse inviato al Quirinale. Non è un numero messo dal governo». La verità, osserva, è che «questo Dl Dignità ha contro lobby di tutti i tipi».

«PERCHÉ NON C’È SCRITTO – ha aggiunto – quanti contratti a tempo indeterminato nasceranno per effetto della stretta dei contratti a tempo determinato, visto che noi aumenteremo gli incentivi a tempo indeterminato? È questo che mi lascia veramente perplesso». Probabilmente perché, a tavolino, non è possibile prevedere la volontà delle imprese o la domanda di lavoro su un mercato destrutturato e basato su cicli sempre più brevi e volatili. Il problema è tuttavia un altro. Un governo che fa firmare al presidente della Repubblica un documento di cui ignora i contenuti, o non li condivide, è un governo vulnerabile. Di Maio ha complicato la situazione quando ha precisato che «la relazione non è stata chiesta dai ministri della repubblica». Una posizione, dettata da una reazione impulsiva, che ha sorvolato sull’obbligo di sottoporre al controllo indipendente della ragioneria dello Stato i provvedimenti del governo. Non è la prima volta che Di Maio si mostra infastidito per i tempi di verifica della Ragioneria e degli altri organi di controllo. Prima della presentazione del decreto in Consiglio dei ministri aveva parlato di «giro delle sette chiese». Una metafora rimasta celebre insieme alla sua ammissione di avere sottovalutato il problema.

È STATA LA PAROLA «LOBBY», che contiene l’implicito riferimento al concetto di «complotto», ad avere creato un pandemonio. Tra l’altro è sembrato che la lobby in questione fosse proprio la Ragioneria dello Stato. E così sul governo, e sul parlamento, è stata proiettata l’ombra della vendetta. Fonti del movimento 5 Stelle hanno esplicitato, o estremizzato, la denuncia inaudita di Di Maio e hanno promesso di «fare pulizia» nella Ragioneria dello Stato e al Mef. La tabella «spuntata di notte» è stata giudicata un episodio «gravissimo». Il sospetto è che ci siano responsabilità di uomini vicini alla squadra dell’ex ministro Pd Padoan. E così è stata esplicitata la volontà di fare «spoil system» per «togliere dai posti chiave chi mira a ledere l’operato del governo. Abbiamo bisogno di persone di fiducia, non di vipere» è stato detto. Una violenza linguistica che non è stata presa a cuor leggero dalle parti del ministero dell’Economia. Da qui è arrivata la smentita della ricostruzione dei Cinque Stelle e di Di Maio che, in effetti, non lo aveva tirato in ballo. «Le relazioni tecniche sono presentate insieme ai provvedimenti dalle amministrazioni proponenti, così anche nel caso del decreto dignità, giunto al Mef corredato di relazione con tutti i dati. La Ragioneria generale dello Stato prende atto dei dati riportati nella relazione per valutare oneri e coperture». Parole che prospettano un’altra storia: i dati contestati da Di Maio sarebbero arrivati in quella forma al Mef che, a quanto pare, li avrebbe approvati.

AGENTI SEGRETI, ologrammi, infiltrati esperti in tabelle excel esclusi, fino a prova contraria, chi avrebbe manomesso il «decreto dignità»? A sentire l’ex ministro Padoan «dal ministero del lavoro: mi auguro abbiano fatto un lavoro corretto perché sarà alla base delle decisioni del Parlamento». Padoan si è detto «sdegnato» e ha respinto le accuse: «Se insinuano che qualcuno della mia ex squadra si sia comportato scorrettamente, magari perché sobillato, lo respingo: sarebbero accuse di gravità incredibile». Lo spoil system? «È nelle prerogative di ciascun ministro». Il cerchio è tornato a chiudersi su Di Maio. Il «colpevole» sarebbe nel suo ministero. Al punto che il segretario Pd Martina ha ironizzato sul «decreto a sua insaputa: Di Maio è contro Di Maio». Il vicepremier si è detto «sbalordito. Padoan non abbia la coda di paglia: non ho nominato né lui, né il Mef. Abbia rispetto dei funzionari. La prossima volta metterò sotto scorta il decreto quando lo mando in giro. La manina non è stata della politica. Poi vedremo chi ha inserito i numeri». Per ora chi ha hackerato un provvedimento di cui non si riesce a dare conto resta nell’ombra. E il mistero «giallo-verde» sulla tabella galeotta si infittisce. Salvini ha detto di non sapere se ci sono state «incursioni notturne: non faccio l’investigatore». La scena così approntata produrrà altri colpi di scena quando il decreto arriverà alla Camera il 24 luglio e sarà modificato.

LA CRISI È, al momento, nel campo dell’esecutivo e riguarda un testo modesto che scontenta le imprese ( i contratti a termine) e i sindacati (il ritorno dei voucher). Dopo 45 giorni nel triangolo tra via XX settembre, Via Molise e via Veneto, si respira un’aria da lunghi coltelli.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento