Disinnescare l’annunciata bomba sociale, per evitare la rivolta. La prima ministra Elisabeth Borne ha messo i guanti ieri per presentare la controversa riforma delle pensioni, definita «brutale» dai sindacati ieri sera: la Francia passerà dagli attuali 62 anni dell’età pensionabile con tasso pieno a 64 nel 2030, ci sarà un’accelerazione dei tempi di una precedente riforma (socialista) del 2014 per arrivare a 43 anni di contributi nel 2027 (era 2035).

Restano eccezioni: Borne ha precisato che 4 nuovi pensionati su 10 andranno in pensione prima dei 64 anni (tra i 58 e i 62, tenendo conto dell’età di inizio del lavoro, dei lavori usuranti, per categorie come poliziotti, militari, lavori di cura). Le pensioni minime passano a 1.200 euro (riguarda 2 milioni di pensionati attuali). Ci sarà una progressiva omologazione dei 42 “regimi speciali” attuali.

L’occupazione dei senior dovrà essere rilanciata, per evitare che molti restino sena lavoro e senza pensione, con l’Rsa (reddito di cittadinanza) visto che sono ormai decurtati i tempi della disoccupazione: la Francia è tra i paesi europei dove il tasso di impiego delle persone tra 55 e 62 anni è più basso in Europa (56%), ci sarà un “indice” delle imprese per penalizzare chi si sbarazza dei dipendenti più anziani (e più cari). Per Borne, è un progetto «universale, giusto», frutto del «dialogo» con le forze sociali e politiche.

NON LA PENSANO COSÌ l’opposizione e i sindacati, che per la prima volta da 12 anni sono uniti in un fronte del rifiuto e ieri sera si sono incontrati alla Bourse du Travail per stabilire la data della prima giornata la mobilitazione – sarà il 19 gennaio – per far indietreggiare il governo. Anche il sindacato riformista Cfdt, che nel passato ha accompagnato le riforme del 1995, 2003, 2014, adesso si oppone. Nel 2019, la Cfdt aveva accettato l’idea di cambiare il sistema in modo radicale proposta da Macron, con una riforma “a punti” alla svedese (ma il Covid e il malcontento avevano bloccato il processo).

Adesso, Macron si adegua ai suoi predecessori e ritocca il sistema attuale aumentando l’età della pensione, per compiacere la Ue, non distanziarsi dalla Germania e calmare i mercati in un momento di aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico: comunque, alla fine del suo mandato, nel 2027, l’età pensionabile sarà a 63,3 anni (cioè in pratica l’età reale attuale media della pensione, che è di 63 anni). Poi si vedrà.

Borne ha insistito ieri sulla necessità di riformare «per salvare il sistema» per ripartizione, evitando il rischio di un calo delle pensioni e rifiutando un aumento dei contributi, che abbasserebbero i salari in un momento di erosione per l’inflazione. Il sistema pensionistico francese assorbe il 14% del pil (è il 10% in Germania), sottolinea il governo, ci sono 1,7 lavoratori per un pensionato. Il deficit del sistema è destinato ad aumentare.

L’opposizione contesta questa visione, sostiene che il defcit può essere riassordito. Stando ai sondaggi, il 68% dei francesi è contrario. L’invito di Macron a «lavorare di più» è rifiutato e considerato ingiusto, perché colpisce i lavoratori meno qualificati, che hanno cominciato a lavorare prima. Il governo, che ha solo una maggioranza relativa, spera di far passare la riforma con i voti della destra di Lr, evitando così di ricorrere al 49.3 (la fiducia rovesciata, di cui il governo ha abusato), anche se i Républicains sono stretti tra la forza di attrazione dell’area Macron e l’opposizione populista dell’estrema destra. Il Rassemblement national, che difende la pensione a 60 anni, propone di «rilanciare la natalità» per risolvere il disequilibrio.

LA SINISTRA NEL “NO” alla riforma ritrova un’unità dopo mesi di tensioni tra gli alleati della Nupes. Il Ps rischia di essere in difficoltà, perché a fine mese ha il congresso e ci sono due candidature contro l’attuale segretario Olivier Faure, che contestano l’adesione alla Nupes. Tra i Verdi cresce soprattutto la contestazione dell’ideologia del «lavorare di più» proposta da Macron, per la deputata Sandrine Rousseau «il lavoro è un valore di destra», affermazione che ha irritato il Pcf. La France Insoumise ha già convocato una marcia di protesta per sabato 21 gennaio, ma i sindacati non hanno nessuna intenzione di cedere la leadership della contestazione. Mélenchon ha parlato ieri di «regressione sociale». La sua voce è però indebolita in seguito alle polemiche sul suo delfino, Adrien Quatennens, condannato a 4 mesi con la condizionale per violenze coniugali, che ha creato un forte malessere interno.