«Pelikanblut», nel delirio ossessivo tra bio mamme e figlie inquiete
Venezia 76 Nella sezione Orizzonti il film della regista tedesca Katrin Gebbe che per sorreggere i lracconto si affida alla presenza di Nina Hoss
Venezia 76 Nella sezione Orizzonti il film della regista tedesca Katrin Gebbe che per sorreggere i lracconto si affida alla presenza di Nina Hoss
Madre/figlia è la relazione che guida, come in La vérité di Kore-eda anche il film che ha inaugurato la sezione Orizzonti, Pelikanblut, Il sangue del pellicano, opera seconda della regista tedesca Katrin Gebbe (sviluppato anche al Torino Film Lab), che per sorreggere il racconto si affida soprattutto alla presenza di Nina Hoss, l’attrice icona di molti film di Christian Petzold. È lei infatti la protagonista, amazzone che «doma» i cavalli utilizzati dai poliziotti e madre single di una bimba adottata da qualche parte nell’est – «In Germania le donne sole non hanno diritto all’adozione». A cui decide un giorno di dare una sorellina, «salvata» anche lei da un triste istituto, piccola, bionda, piena di moine, un quadretto perfetto a cui manca solo il papà – come le fa notare un’amica, altra mamma adottiva. Solo che la bimbetta dopo poco comincia a manifestare segni di inquietante squilibrio, aggredisce la sorella, spacca tutto ciò che le capita a tiro, nasconde animali morti nella stanzetta, sodomizza un ragazzino …
NON SIAMO però in un horror e purtroppo perché la scelta di «genere» avrebbe forse offerto all’autrice delle possibilità di lavorare sull’inquietudine in modo meno programmatico. Gebbe, anche autrice della sceneggiatura, precipita invece in un delirio ossessivo nel quale la bio-mamma – pasti con tofu e verdure, vita in campagna – dopo la diagnosi sulla bimbetta di un disturbo psicotico grave invece che alla terapia si affida al medioevo di magia bianca e nera guidata nella sua «lucida follia» da un afflato sacrificale. Del resto il titolo già ce lo suggerisce, «Il sangue del pellicano» allude infatti alla metafora cristologica della mamma pellicano che per salvare i figlietti morti si toglie il sangue e glielo offre a nutrimento… Nelle notedi intenzione Gebbe definisce il suo film «l’esplorazione dell’incubo peggiore per ogni genitore», quale è certo la malattia di un figlio per cui si è disposti a tutto pur di salvarlo.
MA QUI non si tratta di fede o di altro, la problematicità – o l’interrogativo – non appartiene al registro dell’autrice che preferisce ammiccare un po’ al soprannaturale, inserire appunto qualche dettaglio horror rimanendo sempre ben ferma – tipo un paladino No vax – nei suoi assunti esoterici-maternali resi quasi «realtà». Le sfumature dei contrasti non rientrano nella sua narrazione; c’è solo il cuore di e madre e il suo sacrificio. Fa un po’ spavento oggi specie se poi manca il cinema.
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