Peggio dell’Amazzonia
Brasile Colture intensive, pesticidi e politiche scellerate di Bolsonaro all’attacco della fragile biodiversità del Cerrado, fulcro dell’agrobusiness brasiliano. Basterà eleggere Lula per cambiare rotta?
Brasile Colture intensive, pesticidi e politiche scellerate di Bolsonaro all’attacco della fragile biodiversità del Cerrado, fulcro dell’agrobusiness brasiliano. Basterà eleggere Lula per cambiare rotta?
C’è un’enorme savana tropicale nel cuore del Brasile. È una regione ricchissima, un fragile paradiso della biodiversità, nel quale numerose specie animali e vegetali hanno creato nicchie ecologiche attraverso millenari, stupefacenti processi di coevoluzione.
È tra le maggiori produttrici mondiali di merci agricole (in gergo economico commodities), e ha subito più di altre zone l’impatto delle politiche scellerate degli ultimi anni; eppure, di essa si parla poco o quasi nulla: è il Cerrado brasiliano, che separa l’Amazzonia dalla fascia costiera del paese.
LE PROSSIME ELEZIONI brasiliane del 2 ottobre sono un evento atteso dagli ambientalisti di tutto il mondo. Una vittoria dell’ex presidente Lula, in questo momento favorito con circa il 44% delle intenzioni di voto, potrebbe infatti significare la restaurazione di misure di protezione ambientali, soprattutto per l’Amazzonia, da anni nell’occhio del ciclone viste le politiche devastanti del governo uscente.
Forse sul Cerrado l’impatto elettorale sarà anche più profondo. Dalla soia, al mais, all’allevamento intensivo, è in questa regione che si gioca un’importante partita politica per definire il futuro della sovranità alimentare del Brasile, nonché importanti equilibri geoeconomici globali.
A PARTIRE DAGLI ANNI SETTANTA lo sviluppo di pratiche di fertilizzazione degli aridi suoli locali e la selezione di nuove varietà hanno trasformato il Cerrado in uno dei principali breadbasket del mondo. In particolar modo, la produzione di soia transgenica si è affermata come commodity strategica per soddisfare la domanda di foraggio nazionale e internazionale.
Questa trasformazione ha tuttavia reso il Cerrado la regione brasiliana più colpita dallo sviluppo dell’agricoltura intensiva.
Mentre nelle ultime decadi la foresta amazzonica conosceva politiche ambientali sempre più rigorose, rilassate soltanto negli ultimi anni dal governo Bolsonaro, la devastazione ambientale nel Cerrado è proseguita fuori controllo.
Oggi oltre il 50% della formazione biologica originaria è completamente andata perduta, a fronte del 15% della foresta amazzonica.
Nella savana del Cerrado oltre la metà della formazione biologica originaria è andata totalmente perduta, a fronte del 15% della foresta amazzonica.
I RECENTI INCENDI in Amazzonia continuano a destare indignazione a livello internazionale, mentre la devastazione ambientale e la produzione di commodities alimentari nel Cerrado aumenta nel silenzio generale.
In particolare, più della metà della soia transgenica raccolta in Brasile – da qualche anno ormai saldamente il primo produttore mondiale – è piantata nel Cerrado e destinata alle esportazioni nel resto del mondo. La soia piantata e raccolta nel Cerrado ammonta a quasi due terzi della produzione nazionale, oltre il 60% delle 135 milioni di tonnellate prodotte nel raccolto del 2022.
È SU QUESTO PARADOSSO che il paese si appresta ad eleggere il nuovo presidente. Bolsonaro vorrebbe proseguire nell’attuale agenda economica, alimentando la filiera dell’agrobusiness; Lula tenterebbe di conciliare le pressioni politiche dei magnati e far fronte all’emergenza alimentare. Il secondo scenario sembra il più plausibile.
Le misure di ammenda economica promosse frettolosamente dal governo Bolsonaro negli ultimi mesi non sembrano aver sortito gli effetti desiderati.
L’insoddisfazione per il governo uscente continua ad essere generalizzata, considerato il grande vantaggio di Lula negli ultimi sondaggi. Mai, dalla ridemocratizzazione degli anni Ottanta, un presidente in svantaggio nelle intenzioni di voto è stato in grado di capovolgere il verdetto elettorale.
A meno di un mese dalle elezioni, è dunque probabile che sarà nuovamente il Partito dei Lavoratori a governare il Brasile.
Gran parte del successo delle politiche economiche del governo Lula dei primi anni Duemila ha fatto leva sulla stessa formula conciliatrice basata sulla produzione di commodities agricole.
La scommessa dell’ex presidente consisteva nell’uso dei proventi agricoli per espandere il mercato interno e aumentare i consumi. Allo stesso tempo, Lula non ha mai disatteso gli interessi dell’agrobusiness brasiliano. Mai come durante il governo Lula i grandi proprietari terrieri hanno trovato spazio e risorse per arricchirsi, a scapito soprattutto del Cerrado.
LA DIFFERENZA CON BOLSONARO è però macroscopica: con Lula tutti gli indici di povertà erano calati sensibilmente. Oggi 14 milioni di brasiliani in più rispetto al 2020 (33 milioni in tutto), complici anche la discutibile gestione della pandemia, sono scesi sotto la soglia della fame.
La ricetta neoliberista promossa dalla destra negli ultimi quattro anni ha fatto crollare gli indici nazionali di consumo e ricchezza pro-capite, complice un forte taglio alla spesa pubblica, la contrazione del mercato interno e la lievitazione dei prezzi delle merci agricole, sempre più destinate alla vendita internazionale.
Se la rielezione di Lula è di per sé una buona notizia per gli ambientalisti di tutto il mondo, non migliorerà necessariamente il già drammatico quadro delle savane tropicali del Cerrado.
Mai come oggi la partita che il prossimo governo dovrà giocare è complessa e piena di insidie. Proteggere l’Amazzonia e far fronte alla crescente emergenza alimentare saranno certamente le priorità del governo neoeletto.
Tuttavia, appare difficile pensare che Lula possa completamente sorvolare sugli interessi di un agrobusiness ringalluzzito e rinforzato da un quadriennio di politiche favorevoli.
È QUESTO LO SCENARIO in cui si giocano gli equilibri geoeconomici di una nazione e di una parte di mondo, Vecchio continente compreso. La carenza di grano ucraino e gas russo costituiscono un’occasione troppo ghiotta per il Brasile, che potrebbe occupare porzioni importanti di mercato con l’esportazione di merci agricole per biocombustibili (mais e canna da zucchero) o foraggio (soia e grano).
È difficile pensare che il futuro presidente non cerchi di prendere due piccioni con una fava, aumentando la produzione di commodity per espandere il mercato interno e allo stesso tempo prendere ancora una volta la palla al balzo sul mercato internazionale.
In questo complesso scenario geoeconomico, le savane tropicali del Cerrado sembrano ancora una volta il principale indiziato a pagare i costi ecologici di un nuovo aumento di produzione.
Una devastazione ambientale che potrebbe segnare un punto di non ritorno per una regione già martoriata da decadi di espansione agricola illimitata e avvelenata dal massiccio uso di pesticidi.
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