Dal contropiede sulla Via della Seta del governo gialloverde alla parziale retromarcia del Conte bis col niet al 5G di Huawei. Dalla fuga atlantista a colpi di golden power di Mario Draghi alla possibile linea anti cinese dal sapore trumpiano. L’Italia si appresta a completare la giravolta sui rapporti con la Cina. In poco più di tre anni si è passati dal considerare l’adesione alla Belt and Road una grande opportunità fino a «un grosso errore», come detto qualche giorno fa da Giorgia Meloni.

PECHINO è conscia che la linea sinoscettica è il minimo comune denominatore di quasi tutte le forze politiche italiane. Soprattutto di (centro)destra. Sì, perché coi numerosi scheletri su Russia e Vladimir Putin che ingombrano gli armadi di Forza Italia e Lega, Meloni non può che cementare la coalizione sulle posizioni anti cinesi. Rispondendo all’esigenza di mostrarsi affidabili agli Stati uniti, per i quali la Cina è da tempo la priorità. Da qui il no alla Via della Seta e le critiche alla «condotta inaccettabile» su Taiwan. Posizioni espresse più volte in campagna elettorale e ribadite in un’intervista alla Central News Agency, agenzia di stampa taiwanese.

LA CINA prova fastidio sul flirt con Taiwan, preannunciato dalla foto di fine luglio pubblicata da Meloni con Andrea Sing-Ying Lee, rappresentante di Taipei in Italia. La sensazione di Pechino è che il futuro governo possa utilizzare la “carta Taiwan” in una linea di opposizione non solo strategica ma anche ideologica alla Cina, seguendo l’esempio dei repubblicani Usa replicato in parte anche dai Dem. Il South China Morning Post ricorda che nel 2008 Meloni aveva chiesto il boicottaggio dei Giochi Olimpici di Pechino sulla questione tibetana.

I MEDIA CINESI definiscono il prossimo governo di «estrema destra». Guancha pone l’accento sulla linea euroscettica di Meloni, fornendo una chiave di lettura ricorrente per raccontare l’ascesa di populismi e sovranismi come sintomo di un continente che ha rinunciato all’indipendenza per diventare terreno di conquista dell’«imperalismo Usa». A vincere sarebbe dunque Washington, che attraverso il divide et impera lega a sé l’Europa per utilizzarla nella sua crociata anticinese.

Anche l’iper nazionalista Global Times, destinato al pubblico internazionale, chiede all’Italia di adottare «una politica estera serva i propri interessi e quelli dell’Europa, piuttosto che seguire a bacchetta gli Stati uniti». Sia il governo sia i media cinesi non chiudono comunque al dialogo e invitano l’Italia a «restare fedele a un approccio pragmatico riguardo la cooperazione bilaterale».
Tutto da vedere, al di là delle dichiarazioni, quanto con Meloni possano cambiare nel concreto i contorni dei rapporti tra Italia e Pechino. Non vanno dimenticate le passate giravolte della Lega che passò dal firmare la Belt and Road a protestare per Hong Kong con Matteo Salvini davanti all’ambasciata cinese. Lo stesso Salvini qualche tempo dopo andò a visitare l’ambasciatore Li Junhua.

MELONI, nella sua intervista a Cna, è stata meno categorica che in altre occasioni sulla Via della Seta: «Se mi trovassi a dover firmare il rinnovo domani mattina, difficilmente vedrei le condizioni politiche». Ma «spero che il tempo serva a Pechino per ammorbidire i suoi toni». Un’aggiunta su cui le rispettive diplomazie potrebbero lavorare. Dipenderà anche dalla scelta per la Farnesina, che sembra sbarrata per gli esponenti di Lega e Fi a causa delle sbandate russe.